Massimo Pisa, la Repubblica 25/9/2013, 25 settembre 2013
“BASTA IL NOSTRO COGNOME PER INTIMIDIRE” GLI AFFARI MAFIOSI DEI MANGANO A MILANO
C’è Cinzia Mangano, una delle tre figlie dello stalliere di Arcore Vittorio, quello che Marcello Dell’Utri definiva «a suo modo un eroe» per non aver inguaiato ulteriormente Silvio Berlusconi: talmente consapevole del suo nome, la Cinzia, da farlo mafiosamente pesare quando c’è da strozzare un imprenditore debitore: «Noi non abbiamo bisogno di presentazioni ». C’è Enrico Di Grusa, cognato della Mangano, uomo d’onore di Pagliarelli, già condannato e sempre intimo del vecchio zio Tanino Fidanzati e del giovane leone Gianni Nicchi durante le loro latitanze milanesi. C’è Alberto Chillà, ex braccio destro della ’ndrina di Salvatore Morabito, passato a fare affari sporchi con le cooperative gestite da Cosa Nostra. E c’è soprattutto l’incensurato Pino Porto, palermitano di Trabia, vero lievito di questo impasto di mafia e ’ndrangheta, di vecchi metodi intimidatori e nuova spregiudicatezza manageriale. Lui, ‘u cinìsi, tra i picciotti che nel luglio 2000 portarono a spalla la bara del defunto “stalliere”, lui ad aprire ai calabresi le porte dell’Ortomercato, lui — anonimo socio occulto di decine di cooperative di servizi — a fornire basi e stipendiare parenti di carcerati del suo mandamento di Pagliarelli, ma anche delle cosche di Corso dei Mille (Antonio Sinagra), di Boccadifalco (Giovanni Sansone), della Noce (Domenico Guglielmini), lui a baciare in pubblico mammasantissima della droga (Guglielmo Fidanzati) e delle rapine alle gioiellerie (Ciccio Scaglione).
Per incastrarli c’è voluto un lavoro di anni, quello degli investigatori della Squadra mobile di Milano, guidati da Alessandro Giuliano e dalla vice Maria Josè Falcicchia. Intercettazioni e ricostruzioni di movimenti patrimoniali, perquisizioni e pedinamenti, condensati ora nelle 558 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Stefania Donadeo su richiesta del pm Alessandra Dolci della Dda. Otto gli arresti eseguiti ieri mattina per associazione a delinquere di stampo mafioso, declinata alla maniera degli anni Duemila: la «cosiddetta mafia imprenditoriale — scrive il gip — cioè un’associazione tra persone che si avvalgono della forza, della storia, della fama e dei metodi della realtà criminale a cui appartengono non per realizzare in via esclusiva attività direttamente ed evidentemente illegali, bensì per entrare nel tessuto economico della zona di influenza e trarne il massimo beneficio». Non c’è più bisogno di armi né sangue, per Porto e soci, che «decidono di operare insieme sul mercato economico milanese — prosegue il provvedimento — stabilendo loro le regole del gioco, commettendo illeciti che ricordano i gabellotti della metà dell’Ottocento».
Affari illeciti, gonfiati tramite commercialisti amici e banche compiacenti, che fruttavano: tre milioni di euro, nel solo 2008, tra appalti nel movimento merci e nel settore pulizie. Affari che proliferavano sul lavoro in nero, a 6 euro l’ora, di decine di operai boliviani, salvadoregni, peruviani e cinesi, tutti ricattabili perché irregolari. Società che cambiavano nome e ragione sociale ogni due anni, libri contabili bruciati per evitare controlli. Così, senza battere le vie internazionali del narcotraffico e senza la violenza predatoria del pizzo, la metastasi milanese della mafia palermitana accumulava capitale. Da reimpiegare, anche, alla vecchia maniera, in forma di stipendio fisso per Lucia Martinelli e Francesca Nicchi, madre e sorella del gaudente Gianni “Tiramisù” (il killer di fiducia del reggente di Pagliarelli Nino Rotolo), che al carcere di Opera venivano a trovare anche il capofamiglia Gigi. Da spedire in contanti alle famiglie giù in Sicilia, a sacchi da 100mila euro alla volta, come in un documentato e fotografato prelievo nella sede di una delle cooperative dell’organizzazione, datato 2008.
Poi, da che mafia è mafia, c’era un’attività parallela di supporto alla politica. Se ne incarica il solito Pino Porto, che per le regionali del 2010 si adopera da collettore di voti per Domenico Zambetti (Pdl), poi assessore nell’ultima giunta Formigoni e motivo della sua caduta quando verrà arrestato per voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa. Ad attivarsi per il contatto era stato un ex consulente del Ministero per l’Attuazione del programma, Gianni Lastella, poi candidato non eletto del Pdl alle Comunali del 2011. Sottobosco della politica locale. Che, però, sa sempre a chi bussare.