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 2013  settembre 25 Mercoledì calendario

HO VISTO UN RENZI SBOTTONATISSIMO E IO, PUR NON PORTANDO LA CRAVATTA PER MOTIVI RELIGIOSI, SENTIVO, AL SUO CONFRONTO, TUTTO IL PESO DELL’ETÀ

A Omnibus, su La7, Matteo Renzi si presenta in maniche di camicia, niente cravatta, la camicia azzurra studiatamente stazzonata, il colletto non slacciato ma slacciatissimo. Parla solo lui, cita L’allegro chirurgo e mette il broncio all’Europa per via dei suoi «clichés ragionieristici», come li chiama, ma soprattutto ammette d’avere un difetto, uno solo ma terribile: la sincerità.

«In principio non era il verbo, non era l’azione, e neanche quello stupido serpente. All’inizio c’è il perché. Perché Eva spiccò il pomo? S’annoiava, forse? Era curiosa? Era stata pagata? Fu Adamo a sobillarla? Se no, chi la indusse? Il diavolo è la scusa, la copertura, di ogni donna, quindi lasciamolo perdere. Faceva forse, lei, da prestanome a qualcuno? Non basta dire: “Perché il pomo era là”» (John Le Carré, La casa Russia, Mondadori 1989).

Parla il sindaco, trattando ogni altro politico su piazza con condiscendenza, e i giornalisti tacciono ammirati. Sembrano vergognarsi un po’ delle loro cravatte, delle giacchette, dei capelli grigi, delle rughe. Hanno l’aria di pensare che niente, a questo mondo, dura per sempre: forse siamo al redde rationem, forse è venuto il momento della rottamazione anche per noi, come per Veltroni e D’Alema. Vedi mai che questo qua, dall’alto del suo look, con la sua vasta scienza, non ci indichi l’uscita: largo ai gazzettieri giovani, via i babbioni dalle redazioni dei giornali. Ai giovani, ma non ai giovanissimi, attenzione, ché i giovanissimi potrebbero voler rottamare i fratelli maggiori, in politica come nel giornalismo. Diciamo allora che per giovani e meritevoli s’intendono d’ora in avanti gl’italiani tra i trentacinque e i quarant’anni. Più di 40 è troppo, meno di 35 troppo poco.

Non so bene cos’abbia detto il sindaco. Anch’io lo guardavo con ammirazione e, pur non portando la cravatta per motivi religiosi, sentivo al confronto tutto il peso dell’età, quindi ero più attento al suo look che alle sue parole (del resto, che il medium sia il messaggio, cioè che la scamiciatezza sia anche l’intero contenuto della proposta renziana, è un sapere antico come i cartoni animati di Tom e Jerry, per parafrasare il sindaco). Ma deve aver detto, immagino, viva questo e abbasso quello, le regole di qua e le primarie di là, e potrei giurare d’averlo sentito parlare di nascondino (toh) e di mosca cieca (ma dai). Sta di fatto che la sostanza del suo discorso erano il look giovanilista e l’aria di condiscendenza. Un look da eterno ragazzo, una condiscendenza leggermente gratuita, ma in primis la giovinezza, of course. Giurerei, infatti, d’averlo anche sentito rivelare, con un sorrisetto, l’età del suo nuovo antagonista, non più Pierluigi Bersani (e tanto meno Gianni Cuperlo) ma Enrico Letta. 47 anni. Quarantasette! Mentre l’età della pensione s’allontana, la mezza età comincia sempre più presto.

«I sentimenti partigiani, attizzati dai giornali, sono quanto di più dannoso esista. Da sempre luoghi comuni, tali restano» (Elias canetti, Party sotto le bombe. Gli anni inglesi, Adelphi 2005).

Nei prossimi mesi, esattamente come nelle ultime settimane, non si parlerà che di Matteo Renzi e della sua audace battaglia per la conquista della leadership democratica. Per anni, d’altra parte, non si è parlato che del bunga bunga, delle barche di Massimo D’Alema, dell’importanza di Beppe Grillo delle metafore di Pierluigi Bersani. Parlare del nulla (e di meno ancora) davanti a una telecamera o in presenza d’un giornalista munito di taccuino sarà magari simpatico ma equivale a parlare di donne e motori davanti a una birra o a un bianchino. Solo che le donne (e persino i motori) sono meglio del nulla.

«Considerando la vita dal punto di vista morale, leggendola cioè alla luce del primato del bene e della giustizia, se ne vedono lampanti le imperfezioni, si sente l’amarezza per la presenza di tante ingiustizie, si scorgono malvagità e ipocrisie, un mare di sofferenza innocente e un oceano di stupidità che troppo spesso sembrano sommergere ogni cosa. Da qui il bisogno insopprimibile di rimandare al di là, di credere a un mondo davvero diverso, a una sorta di tribunale della vera giustizia, una cassazione celeste che ribalti le ingiuste sentenze di questo mondo e faccia finalmente prevalere il diritto» (Vito Mancuso, Il principio passione, Rizzoli 2013).