Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 25 Mercoledì calendario

LA GUERRA EVITATA E LA PACE VIRTUALE

Una stretta di mano virtuale? Forse non più di questo, dopo il discorso del presidente Barack Obama alle Nazioni Unite, si può intravedere nelle grandi manovre tra Stati Uniti e Iran. Ma dietro le quinte dell’Assemblea generale dell’Onu, le relazioni con Teheran e la crisi siriana agitano una diplomazia in bilico tra opzioni di pace e scenari di guerra. Tra i precedenti storici i paradossi non mancano. Se Barack Obama al G-8 dell’Aquila nel 2009 - osservano all’Onu - ha stretto la mano a una canaglia come Gheddafi, per poi bombardarlo due anni dopo, oggi potrebbe fare lo stesso con il presidente iraniano Hassan Rohani, un signore con un dottorato a Glasgow che se non fosse scoppiata la rivoluzione del ’79 si sarebbe iscritto a Harvard. I gesti amichevoli tra nemici, come dimostra il passato, non sempre portano nella direzione sperata: la stretta di mano a Monaco nel 1938 tra Chamberlain e Hitler fu il gelido preludio di una tragedia mondiale. E così, prima del gran passo, Obama ha teso la mano all’Iran con prudenza, anche perché è un leader assai riluttante alle decisioni spettacolari. Amici di penna dopo il recente scambio di lettere sulla Siria, Obama e Rohani sono ancora allineati e coperti in una trincea profonda, scavata 34 anni fa. Il nuovo corso di Rohani - che ha parlato a tarda sera - è incoraggiante, ha detto il presidente americano, ma servono i fatti: Obama non ha nascosto gli ostacoli per risolvere la questione del programma nucleare iraniano, sospettato di finalità militari. Forse su questo punto l’incontro più significativo potrebbe essere nelle prossime ore quello tra il 5+1 e l’Iran, dove il segretario di Stato John Kerry incontrerà il ministro degli Esteri Javad Zarif. E qui evitare di stringersi la mano tra i due nemici sarebbe davvero un’impresa difficile e scortese. Certo da un premio Nobel per la pace come Obama si vorrebbe qualche cosa di più di discorsi trattenuti e circospetti. Persino la Cia ha deciso di aprire gli archivi sulle trame iraniane. «Battaglia per l’Iran» è il titolo del documento segreto in cui per la prima volta si ammette ufficialmente che gli americani, insieme agli inglesi, diressero il colpo di Stato che nel 1953 esautorò il governo Mossadeq. Sessant’anni dopo i rapporti Stati Uniti e Iran sono di nuovo a una svolta. Ma a tre decenni dalla Rivoluzione islamica, che nel 1979 sancì la rottura delle relazioni diplomatiche quando furono sequestrati 52 ostaggi all’ambasciata Usa, forse ci si aspetta troppo da queste riunioni all’Onu. In questo mezzo secolo gli Stati Uniti hanno capito poco dell’Iran. Sostennero Reza Palhevi senza comprendere che i suoi metodi autoritari lo avrebbero travolto. Il presidente Carter, con una mossa sconcertante, andò a Teheran a brindare per Capodanno con lo Shah che poco dopo venne costretto all’esilio. Non solo: quando Saddam nell’80 attaccò l’Iran, puntarono su una rapida caduta del regime e non condannarono mai l’uso dei gas iracheni sul fronte curdo. In anni recenti Washington e Teheran hanno provato ad avviare una diplomazia segreta con risultati disastrosi (l’affare Iran-Contra) o ambigui, come nel caso dell’Afghanistan e dell’Iraq. Ma quando il presidente riformista Khatami alla fine degli anni’90 tese la mano alla Casa Bianca, non ebbe risposta: il risultato fu l’ascesa dei Pasdaran e di Ahmadinejad, che decisero la ripresa a pieno ritmo dei piani nucleari. Gli iraniani per altro si sono ben guardati dall’esercitare pressioni su Assad e sui radicali palestinesi, puntando sugli Hezbollah per tenere sotto tiro Israele. E al tavolo del nucleare si sono seduti con l’astuzia felina di un gatto persiano che sa perdere tempo con flemma spostandosi da un morbido cuscino a un comodo sofà. Si capisce bene che la diffidenza reciproca è enorme. Ma questo è anche il momento di Rohani: nel 2005 seppe convincere la Guida Suprema Alì Khamenei a congelare per alcuni mesi i programmmi di arricchimento dell’uranio e in campagna elettorale ha promesso un accordo per far togliere le sanzioni che soffocano un’economia in crisi. Ha l’autorità per firmare un’intesa che però non potrà mai essere umiliante: Teheran si pone comunque come un’alternativa ideologica agli Stati Uniti. Gli americani a loro volta sono condizionati dalle pressioni di Israele, come pure sono in fibrillazione le monarchie sunnite del Golfo, ostili agli sciiti iraniani. Una stretta di mano, anche virtuale, tra Obama e Rohani avrebbe dunque un significato geopolitico epocale, che può cambiare tutto, in Medio Oriente e oltre.