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 2013  settembre 25 Mercoledì calendario

LA DÈBACLE DECENNALE: «BRUCIATI» 42 MILIARDI

C’è ancora chi si ricorda le Telecom Italia a superare i 9 euro o le Tim (allora quotate) a veleggiare a 20 euro. Altri tempi, meglio un’era geologica fa. Era la stagione della bolla internettiana e dei cosiddetti titoli Tmt (telefonici, tecnologici e media) comprati a man bassa quasi fosse l’Eldorado. Ma a marzo del 2000 ecco il botto con lo sboom irrefrenabile. Tutti cadettero, ma per Telecom Italia ebbe inizio un lungo scivolone che non ha mai avuto fine. A tutt’oggi. Una dèbacle pressochè unica non solo a Piazza Affari, ma anche rispetto ai concorrenti europei nelle tlc. La storia borsistica dell’ex monopolista telefonico è una storia di lacrime e sangue per i suoi centinaia di migliaia di azionisti. I dati dell’Ufficio studi de Il Sole 24 Ore mostrano che dai massimi del 2000, Telecom Italia tra azioni ordinarie e di risparmio ha bruciato oltre 42 miliardi di capitalizzazione. L’azione ordinaria quota oggi 0,6 euro, ma era scesa fino a 0,47 appena un mese fa. Poi il piccolo riscatto sull’onda della speculazione sul cambio di controllo. Riscatto più che insignificante dato che il titolo sei mesi fa era posizionato a 0,92 euro. Ed è dalla primavera del 2011 che Telecom ha lasciato la quota simbolica di 1 euro. Un ultimo strappo all’ingiù di una lunga glaciazione del titolo: è da fine del 2008 che Telecom oscilla stancamente su quei valori. Ma il declino è di lunga data: basti pensare che nella primavera del 2005, oltre 8 anni fa la compagnia telefonica quotava 3 euro.
La dèbacle borsistica
È impietoso il confronto sul medio-lungo termine sia con Piazza Affari che con i competitor europei. Mentre a 2 anni la Telecom Italia perde il 22%, l’indice delle blue chip italiane sale del 31% e l’indice delle telecom europee guadagna il 14%. Stesso copione a 5 anni con Telecom giù del 45%, mentre la Deutsche Telekom perde solo il 2% e l’indice europeo è in negativo solo del 9%. A 10 anni il divario si amplifica con una perdita secca del 55% per la società italiana. Peccato che il Ftse/mib sia positivo per il 5% e la tedesca DT guadagni il 48%. E tornando a ritroso al post-privatizzazione si scopre che negli ultimi 15 anni l’ex monopolista ha lasciato sul campo l’80% del suo valore mentre l’indice delle blue chip di Piazza Affari ha limitato le perdite al 37%. Certo si dirà che i ricchi dividendi staccati ogni anno dovrebbero aver compensato parte delle perdite. Ma le hanno solo lenite. Come mostrano i dati dell’Ufficio Studi di Mediobanca il rendimento medio dell’azione (il cosiddetto total return che include i dividendi) è stato negativo dell’1,6% negli ultimi decenni, a fronte di un rendimento medio del listino del 16% e dei BTp del 7,9%. Davvero un investimento a perdere in tutti i sensi. Se questa è la (pessima) storia borsistica di Telecom vien da chiedersi quali siano le ragioni che hanno portato al tracollo sul listino.
La zavorra del debito
Il peccato originale è da rintracciare nell’Opa a debito dei "capitani coraggiosi" di fine del ’99 che modificò profondamente la struttura finanziaria del gruppo. Nel 2000 i debiti finanziari passano da 10 miliardi a 23 miliardi. E da allora la zavorra del debito ha artigliato il gruppo senza mai venire ridimensionato. Al contrario. A fine 2012 i debiti finanziari totali (dati R&S Mediobanca) sono di oltre 37 miliardi e dal 2008 almeno oscillano tra i 39 e i 40 miliardi. Non che prima ancora le cose siano cambiate molto. Il debito finanziario è arrivato a toccare i 51 miliaridi nel 2005, ma nell’ultimo decennio almeno il livello del debito finanziario è stato sempre non lontano dai 40 miliardi. Troppi per un gruppo che ha visto, sempre nel decennio, fermarsi se non declinare i margini industriali. E quell’arresto è dovuto alla rinuncia (con la sola eccezione di Brasile e Argentina) a sfondare sui mercati esteri finendo per rimanere confinati a un mercato quello italiano che è andato saturandosi, scatenando una guerra al ribasso sui prezzi. Margini inchiodati e debito che, come un macigno, non si muove. Per il mercato così non va. E il mercato ha finito per snobbare completamente Telecom inchiodata tra crescita che non c’è più e debito che assorbe ogni anno, da anni, dal conto economico oltre 3 miliardi di soli interessi. Si sommi a ciò la dispendiosa (per la società) politica dei dividendi: erano 2,7 miliardi nel 2005 e nel 2006; 1,6 miliardi nel 2007 e un miliardo secco ogni anno dal 2008 a tutto il 2011. Undici miliardi usciti dalle casse Telecom in sette anni. Ne hanno beneficiato azionisti piccoli e soci di controllo, affamati di dividendi, ma non è servito a fermare le perdite sul titolo. E soprattutto non è servito a Telecom che ha finito storicamente per giocare (suo malgrado) in difesa. Crollando in Borsa.