Sergio Romano, Corriere della Sera 25/9/2013, 25 settembre 2013
COME CLASSIFICARE CHE GUEVARA NELLA STORIA DEL NOVECENTO
È da anni che leggo la rubrica dei lettori del Corriere della Sera. Vengono richiamate figure di dubbia moralità come Bastianini e quel traditore di Milovan Djilas che aveva abbandonato la classe operaia e non per sfuggire a una classe politica corrotta ma per opportunismo. Mai che compaia una figura positiva. Penso a Ernesto Guevara. Già avevo avuto una delusione andando a vedere il film «Che» dove il protagonista era interpretato da Omar Sharif mentre Jack Palance recitava nella parte di Fidel Castro mettendolo in ridicolo. Per fortuna è uscito un libro intitolato «Compañero» di Jorge G. Castañeda che mette nella giusta luce l’eroe e poi non mancano le manifestazioni in cui i ragazzi indossano magliette in cui sul davanti è effigiata la faccia barbuta del Che. Ma se uno aspettasse qualcosa di meglio da un giornale borghese e reazionario come il Corriere della Sera non si andrebbe lontano!
Filippo Ferreti
Caro Ferreti,
N on sono mai riuscito a dividere il mondo della storia in buoni e cattivi. Non saprei criticare Tito senza riconoscergli il merito di avere guidato la lotta contro le forze tedesche e italiane durante la Seconda guerra mondiale e di avere coraggiosamente sfidato l’imperialismo sovietico dopo la fine del conflitto. Non saprei parlare male di Stalin senza aggiungere che costruì un grande Stato, incarnò il sentimento nazionale, trascinò il Paese alla vittoria contro la Germania nazista. Non saprei denunciare le colpe e gli errori del fascismo senza ricordare che molte delle sue istituzioni sono state ereditate e conservate dall’Italia democratica. Non saprei descrivere la tirannia di Fidel Castro senza aggiungere che ha liberato la sua isola dalla sudditanza americana. Non saprei evocare il Nixon del Watergate senza ricordare che il suo viaggio a Pechino, nel febbraio del 1972, aveva schiuso nuove prospettive di dialogo internazionale. Di Bastianini mi piacciono la sobrietà di cui dette prova durante qualche difficile passaggio della storia italiana e il tentativo di strappare gli ebrei di Salonicco alla loro tragica sorte. Di Milovan Djilas mi piacciono la lucidità con cui denunciò le storture del regime e la fierezza con cui sopportò gli anni di prigione.
Mi è molto più difficile, caro Ferreti, trovare qualcosa di veramente e durevolmente positivo nella vita politica di Che Guevara. Era coraggioso, ma incostante, politicamente instabile, soggetto a crisi umorali, capace di azioni inutilmente crudeli. Il suo tentativo di provocare una grande rivolta contadina nell’intero continente latino-americano fu un clamoroso esempio di ignoranza politica. La sua avventura boliviana fu una iniziativa donchisciottesca. Il suo volto domina ancora la Piazza della Rivoluzione, nel centro dell’Avana, e può dare la sensazione che il Che sia sempre il nume tutelare del regime. Ma Castro fu felice di sbarazzarsi di un compagno ingombrante e imprevedibile. Il suo volto sulle magliette è soltanto folclore rivoluzionario e il suo mito in alcuni ambienti giovanili mi sembra una infatuazione politicamente diseducativa.