Francesco Battistini, Corriere della Sera 25/9/2013, 25 settembre 2013
È LA GUIDA KHAMENEI A DIRIGERE LE DANZE E HA IMPOSTO CAUTELA
Parlare col Grande Satana? Non è difficile, ironizza un ex ambasciatore occidentale a Teheran: «Le parole in comune ci sono già: in farsi dicono pedar, papà, e in inglese si dice father; madar, mamma, e mother; baradar, fratello, e brother; dokhtar, figlia, e daughter … Non basterà a costruire una casa comune, ma è un buon inizio per odiarsi come parenti». L’ultima parola non è uno scherzo. E a dirla non sarà comunque l’offensiva di charme del nuovo presidente Rouhani. «Non daremo segnali di debolezza — s’alza come un falco Mohammad Kousari, vecchio pasdaran che oggi fa da consigliere diplomatico — non ci saranno colloqui diretti con Washington. Rouhani non ha alcun via libera, Khamenei l’ha solo autorizzato a tentare un’apertura verso l’Occidente. Noi non abbiamo bisogno del sorriso americano».
Sorrisi e tenzoni. Funziona così, la diplomazia iraniana ai tempi della crisi. Per un Ahmadinejad che ieri augurava l’apocalisse nucleare, c’era un Khamenei che gli tirava il guinzaglio. Per un Rouhani che ora va all’Onu ad allungare la mano destra, ecco il Khamenei che si tiene ben in tasca la sinistra (l’unica utilizzabile, dopo l’attentato che lo menomò negli anni ’80). In cima a tutto e a tutti, a un rial svalutato, ai bazari esasperati dai prezzi triplicati e a un embargo petrolifero che sta seppellendo l’economia, lassù c’è da sempre Sua Eminenza Ali Hoseyni Khamenei, l’uno e trino che incarna l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario, la 73enne Guida suprema che in base al principio del velayat-e faqih , l’assoluto potere, ha ragione come capo dello Stato e delle forze armate, da presidente della tv e da selezionatore dei candidati alla presidenza, leader religioso e playmaker della politica estera. «Il governo agisce, io prego», ama dire. Non è vero: Khamenei l’altro giorno ha salutato Rouhani raccomandandogli «eroica flessibilità», ieri ha ordinato di liberare 80 prigionieri politici (ma non il leader della protesta 2009, Mousavi) e il tono conciliatorio, subito, è parso sostanza.
Una cosa è la comunicazione, altra sono i principi. E il successore di Khomeini ci ha ben abituati all’arte sciita del dissimulare. Negli anni ’90, epoca riformista, era lui a rassicurare gli arabi del Golfo: gli stessi «servi dell’Occidente» per i quali avrebbe poi invocato la punizione divina. E non fu proprio la Guida suprema a baciare in pubblico Ahmadinejad, qualche anno prima di silurarlo? «Voglio la Bomba nel 2005», dicono (gli israeliani) fosse l’altissimo ordine che impartì a metà dello scorso decennio; «la Bomba è il male», sostengono (i negoziatori dell’Agenzia atomica) abbia sentenziato quando Ahmadinejad minacciava sfracelli. Di famiglia azera, conservatore, un chiodo fisso nel perseguire gay e stregonerie, nonostante i modesti studi religiosi diventò Guida suprema proprio per il suo antiamericanismo intransigente: alle parate militari, da un quarto di secolo manca di rado l’invito a «schiacciare l’America sotto i nostri piedi». E quando la nazionale di calcio battè gli Usa, esultò come un hooligan: «L’arrogante avversario assaggi la sconfitta!». Oggi, però, l’Iran appare un partito unico diviso in correnti. E Khamenei lo sa: «D’istinto — spiega Ray Takeyh, studioso di cose iraniane a Yale — lui sosterrebbe i reazionari affascinati dal modello nucleare nordcoreano. Ma il suo ruolo è in un contesto più ampio. E così media tra le fazioni: da una parte sostiene l’accelerazione atomica, dall’altra lascia aperta la via negoziale. E aspetta di capire che cosa faranno gli Usa». Quando elessero Obama, la Guida disse: «Vedremo e giudicheremo. Se lui cambia, noi cambiamo». Ma lei, lo sfidò in pubblico uno studente dell’Onda verde che fu subito arrestato, è sicuro di non sbagliare mai?