Gabriele Lippi, Lettera43 24/9/2013, 24 settembre 2013
TELECOM, CINQUE COSE DA SAPERE
Nella notte la fumata bianca. Telecom è diventata spagnola, passando in mano a Telefonica. Colpa (o merito) dell’accordo che la compagnia spagnola ha raggiunto con Mediobanca, Generali e Intesa per salire dal 46,2 al 66% delle azioni della Telco, la società controllante della compagnia italiana dei telefoni con il 22,4%. Telefonica ha anche un’opzione per crescere ancora con un secondo aumento di capitale da 117 milioni, dopo l’ok dell’Antitrust in Brasile e Argentina, per arrivare al 70% della holding. Poi potrà anche arrivare al 100% entro il 2014.
Per il momento si tratta di un affare da 324 milioni (tanto incasseranno i grandi azionisti) che non solo priva l’Italia del suo ultimo asset nelle telecomunicazioni, ma di fatto crea una serie di criticità.
1. Per comandare basta il 22,4%
Per governare la Telecom, una public company con l’azionariato molto diffuso, basta il 22,4% delle azioni, che è la quota posseduta da Telco.
Telefonica, salendo al 66% della controllante, si è di fatto imposta come maggiore azionista, e nel 2014 potrà addirittura rilevare tutta Telco. Quest’ultima è una società finanziaria (una scatola cinese, come si dice in gergo) finora governata da Generali (30,6%), Mediobanca (11,6%) e Intesa Sanpaolo (11,6%), impegnate nelle ultime settimane in una lunga trattativa con gli spagnoli - che ne detenevano già il 46,2% - e conclusa solo nella notte tra lunedì 23 e martedì 24 settembre.
2. In sei anni svalutazione da 2,82 a 1,09 euro
Da quando nel 2007 fu costituita Telco, il valore delle azioni di Telecom Italia è precipitato. La holding composta da Telefonica, Generali, Mediobanca e Intesa, ha acquistato in parte le quote della vecchia Olimpia pagando un prezzo di 2,82 euro per azione a Marco Tronchetti Provera, mentre alcuni soci, come Generali e Mediobanca, hanno conferito in Telco titoli Telecom che avevano in carico a un prezzo superiore a 2,7 euro per azione.
A causa degli aumenti di capitale e di alcune svalutazioni dei titoli in portafoglio, le perdite accumulate dagli azionisti di Telco in sei anni superano la cifra di 1,3 miliardi.
I buchi nel bilancio Telecom hanno influito sul valore delle azioni possedute dalla controllante: nel 2008 il prezzo di carico dei titoli era già sceso a 2,18 euro. Poi, nel 2011, un altro calo a 1,5 euro. Infine, nel febbraio 2012, l’ultima svalutazione a 1,2 euro.
Alla vigilia del passaggio di mano, in Borsa il titolo Telecom valeva 0,59 euro, ma Telefonica ha ora valutato ogni azione 1,09 euro, destinati alle tasche dei tre grandi gruppi finanziari italiani.
3. Nessun premio per i piccoli azionisti
A perderci, ancora una volta, sono soprattutto i piccoli investitori, che dall’operazione non traggono alcun vantaggio economico, se non parzialmente dalla crescita in Piazza Affari. Il titolo è infatti volato in Borsa nella chiusura del 23 settembre, guadagnando il 3,4% sulla scia delle voci che davano ormai vicina la conlusione della trattativa. E anche in apertura del 24 si sono registrati forti rialzi, ma è ancora da valutare il comportamento nei giorni successivi a quello della grande euforia.
Da quando è stata fondata, Telco non ha mai remunerato i suoi azionisti, e ha richiesto due ricapitalizzazioni da parte dei soci che dovevano sostenere gli aumenti di capitale di Telecom.
Telefonica, tra l’altro, non sembra una compagnia così solida, oberata di debiti, alle prese con la crisi spagnola. D’altra parte si sa, se Roma piange, certamente Madrid non ride.
4. Telefonica ha più debiti di Telecom
I conti di Telecom sono in sofferenza, ma quelli di Telefonica lo sono ancora di più. Ai circa 40 miliardi di debito della società italiana se ne aggiungono quindi un’altra cinquantina. Nonostante un secondo trimestre 2013 con ricavi superiori alle attese, gli spagnoli sono in calo rispetto all’anno precedente, con una riduzione del 6,8% del fatturato a 14,4 miliardi di euro, contro stime ancor più negative che prevedevano un arrivo a 14,1 miliardi.
C’è poco da stare tranquilli, comunque, perché il trend rimane non buono, sebbene secondo alcune fonti il debito del gruppo iberico sia sceso di poco sotto la soglia critica dei 50 miliardi, a quota 49,8, e Telefonica annunci di puntare ai 47 miliardi di debito entro la fine dell’anno.
D’altra parte la stessa Telco, che in Borsa ha una valutazione di 1,56 miliardi, ha sul groppone pesanti debiti: 1,05 miliardi dei quali solo con il sistema bacario.
5. Gli investimenti in banda larga sono una chimera
Per questi motivi è difficile ipotizzare che arrivino i tanto attesi e necessari investimenti sulla banda larga e sullo sviluppo della rete italiana (peraltro non previsti dall’accordo di cessione). I margini di profitto nel settore per gli operatori europei sono in calo da tempo, e il livello degli investimenti pro-capite in ricerca e sviluppo nelle telcomunicazioni, in Europa, è inferiore di oltre il 30% rispetto a quelli americani.
Eppure, in particolar modo in Italia, sarebbe essenziale puntare sulla banda larga. Ma né Telecom né tantomeno Telefonica ne hanno la forza. Per questo, forse, lo scorporo della rete auspicato (o anche imposto) dall’Agcom potrebbe essere indispensabile.
Nel frattempo gli analisti prevedono che Telefonica, per finanziare l’acquisto, provvederà a vendere Tim Brasile, l’asset estero più importante e di maggior valore della società italiana.