Antonio Cianciullo, D la Repubblica 21/11/2012, 21 novembre 2012
LUPO ITALIANO CERCA PECORA FRANCESE
A 30 anni esatti dalla campagna di riabilitazione del lupo, dalla Francia riparte l’offensiva dei pastori che, denunciando l’uccisione di 20mila pecore in 5 anni, chiedono di tornare a sparare su uno degli animali simbolo della wilderness, la natura non addomesticata. In realtà i lupi sono già stati presi a fucilate in più di un’occasione appena hanno passato la frontiera francese. Ma non è bastato: finora ha avuto la meglio il successo del protezionismo italiano, con il recupero dei grandi predatori. Anche se le sorti della partita potrebbero invertirsi in ogni momento.
«Nel 1973, quando abbiamo fatto partire la mobilitazione per togliere al lupo la maschera del cattivo, in Italia questa specie era quasi sparita», racconta Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf. «All’inizio è stata dura, ma piano piano l’opinione pubblica è cambiata e oggi, in Italia, il consenso attorno alle politiche di conservazione dei grandi mammiferi è molto forte. I lupi hanno superato quota 1000, ma le greggi sono difese da recinti elettrificati, da cani ben addestrati e da un clima di tolleranza. Perché qualche imprevisto va messo nel conto, un po’ come una grandinata sui campi». In Francia, spiega Pratesi, è diverso: «Lì i lupi sono stati sterminati molto tempo fa, e si è persa l’abitudine alla convivenza. Se poi i pastori pretendono di lasciare le pecore a se stesse e magari passare la giornata in ufficio, è chiaro che qualche problema finisce per crearsi. Ma è una vergogna che gli animali che noi proteggiamo con tanta cura non possano passare la frontiera senza essere fucilati».
Se in Italia siamo lontani dai toni bellicosi usati dai pastori francesi, anche tra i nostri allevatori serpeggia comunque un certo malessere. «Chiariamo subito che a fare la parte dei killer del lupo non ci stiamo, per un motivo molto concreto: la presenza del lupo e dell’orso rafforza l’immagine di un territorio assicurando vantaggi in termini di turismo e vendita dei prodotti tipici», spiega Stefano Masini, responsabile ambiente della Coldiretti. «Quindi, ben vengano i lupi. Però non vogliamo essere gli unici a pagare il prezzo della convivenza tra i predatori e i predati».
Insomma, non è una questione di principio ma di denaro. I rimborsi, dicono alla Coldiretti, arrivano con cinque o 6 anni di ritardo: 150-180 euro a pecora che, se gli animali andassero riacquistati sul mercato (ma è un’ipotesi teorica perché i pastori li allevano, non li comprano) non basterebbero. Anche perché le carcasse delle pecore uccise dai lupi, per fronteggiare il rischio Bse, vanno trattate con sistemi onerosi, che aumentano i costi. Di qui la proposta di un’assicurazione integrativa, con fondi pubblici, per coprire la differenza.
In realtà come nota Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi le perdite provocate dai lupi non arrivano a un centesimo di quelle causate dai cinghiali ai raccolti. E una buona parte dei danni che vengono rimborsati agli allevatori, catalogando le pecore uccise come vittime dell’aggressione da parte dei lupi, sono in realtà prodotti dai branchi di cani abbandonati e inselvatichiti, che ormai hanno raggiunto numeri decisamente superiori a quelli degli antichi predatori naturali delle greggi.
Segno di un rovesciamento della scala delle preoccupazioni. I secoli della caccia sistematica ai lupi erano quelli in cui esisteva ancora una wilderness dominante e minacciosa. «Bisogna entrare nel bosco, facendo gran rumore di trombe, corni, tamburi, gridando, sempre andando dove sono le reti e i lacci, non temendo di passare spini e macchie, perché quelli sono i luoghi dove i lupi si cacciano», scrive Carlo Stefano nel 1606, nel trattato Agricoltura nuova. Oggi, al contrario, la natura è in ginocchio e le migliaia di persone che abbandonano il cane sulla strada per andare in vacanza fanno più danni dei lupi.
«In ogni caso bisogna trovare sistemi più efficienti per garantire la convivenza tra gli animali che mangiano le pecore e gli uomini che le allevavano», ricorda Antonio Nicoletti, responsabile parchi di Legambiente. «I rimborsi cosi come sono organizzati oggi scontentano tutti: arrivano tardi ma costano molto, alcuni milioni di euro l’anno che pagano le Regioni. Proprio per trovare una soluzione al problema è nato il progetto europeo Wolfnet. E l’Italia dal punto di vista delle misure innovative di conservazione e gestione del lupo è all’avanguardia: presenteremo i risultati al congresso mondiale che si svolgerà a Caramanico Terme, nel parco della Majella, dal 6 all’8 novembre».
Tra le tecniche sperimentate sul Pollino e sulla Majella c’è il «gregge del parco»: un centinaio di pecore affidate a un gruppo di pastori per creare un capitale naturale che serve a compensare in natura i danni prodotti dai lupi. Il 75% dei nuovi nati va ad alimentare il gregge, il 25% costituisce la riserva per reintegrare le pecore uccise dai lupi.
«È un sistema che funziona e si potrà espandere», continua Nicoletti. «Se aggiungiamo la creazione di stazzi ben difesi e di cani pastore addestrati a dovere abbiamo tutti gli elementi per ridurre al minimo i danni che, evitando le lungaggini burocratiche, possono essere risarciti nell’arco di un mese».