David Pizarro, Sport Week 21/11/2012, 21 novembre 2012
QUELLA LICENZA POETICA CHE FA INCAZZARE GLI ARBITRI
Doveva ancora nascere David Pizarro nel 1976. Lo avrebbe fatto solo tre anni più tardi a Valparaiso, in Cile, quindi troppo lontano per ascoltare il vocione di Cesare Zavattini scrittore, poeta, pittore, padre del Neorealismo cinematografico, che un pomeriggio annunciò alla radio di Stato: «Voglio dire una parola che non si dice mai per radio». E disse: «Cazzo».
Una provocazione intellettuale per qualcuno, uno scandalo per altri. Tutti concordi a datare in quel giorno lo sdoganamento ufficiale del termine, già noto nella letteratura rinascimentale, presente nei sonetti del Belli e finito poi al bando della lingua comune. Zavattini, a suo modo, liberò la parola entrata poi con crescente disinvoltura in film, romanzi, interviste. Insulto, imprecazione o semplice intercalare.
Pizarro se n’è servito domenica scorsa come rinforzativo, per chiedere spiegazioni all’arbitro De Marco su un calcio di rigore non concesso contro il Cagliari, allo scadere dell’incontro. Con la stessa funzione e la stessa rabbia, Fantozzi, in tenuta da Nazionale, assalì la moglie che spense la tv al momento della finale mondiale Italia-Brasile: «Cosa cazzo fai, Pina?».
Alla faccia dello sdoganamento intellettuale di Zavattini, l’arbitro De Marco ha espulso il regista della Fiorentina.
Per comprendere meglio l’ira di Pizarro, occorre ricordare le sue parole estive: «Volevo andare via per reazione a certe cose che non mi erano piaciute». Alludeva allo sprint del campionato scorso per la zona Champions, condizionato da discusse decisioni arbitrali. Aveva poi aggiunto: «Quest’anno ce la giocheremo, se non succederanno cose strane». Alla prima “cosa strana”, in coda a una partita tesa, Pizarro ha tuonato in faccia all’arbitro: «Che cazzo fai?». Una domanda rabbiosa ma, nella convinzione del torto subito, anche un indignato appello di giustizia, un richiamo alla responsabilità dell’intera classe arbitrale per il campionato che verrà; come De Falco a Schettino, comandante della Costa Concordia: «Torni subito a bordo, cazzo!». Fatte le debite proporzioni, s’intende.
Pizarro ha pagato la parola “cazzo”, sdoganata prima dall’intellettuale Zavattini e poi dal capitano De Falco. Totti che vomitò sul naso di Rizzoli un triplice “vaffa”, mai sdoganato, se la cavò con un semplice giallo.
Anche per questo a Montella non tornano i conti e non l’ha mandato a dire. L’imbarazzante omertà non impedì a Rizzoli di arrivare a dirigere una finale di Champions.
Nel 1984 il sommo Gianni Brera spedì all’ultraottantenne Zavattini il suo romanzo Il mio vescovo e le animalesse con questa bella dedica: «A don Cesare con la giuliva coscienza del cavedano che s’inchina allo storione; e molto affetto, Giouan Brera». Il sospetto di Montella pare fondato: anche per gli arbitri esistono cavedani e storioni, mentre i pesci da arbitrare dovrebbero essere tutti uguali. Guai a inchinarsi.