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 2013  settembre 24 Martedì calendario

FILOSOFIA E VIOLENZA

L’immagine vincente oggi della filosofia è quella di una disciplina pacata e rasserenante, che al di là del far riflettere, sarebbe in grado persino di consolare, guarire tensioni, appianare conflitti. Platone è meglio del Prozac, ci è toccato sentire, la filosofia risolve i problemi, o almeno ci mette in quella serafica disposizione di animo che è propria della disciplina. Propria della disciplina? Ma siamo matti? La filosofia, mi viene da controbattere, è estasi e tormento, è il risultato del tafano socratico che pungola, incita e sferza il pensiero impedendogli di addormentarsi nel tepore consolatorio delle verità imposte come pure nella bambagia dell’ideologia preconfezionata.
Con questo non si vuol certo giustificare quel che è successo in Russia in settembre, secondo la notizia che fa da spunto per queste considerazioni. Pare che due giovani ventenni di Rostov sul Don, scoprendo durante una fila a un chiosco la comune passione per Kant, abbiano iniziato a litigare fino a che uno dei due ha estratto una pistola (scacciacani per fortuna) sparando in testa all’altro e ferendolo non gravemente. La notizia in sé fa giusto sorridere, anche se l’aggressore rischia qualche anno di galera.
Se invece vogliamo essere seri, non possiamo dimenticare che la filosofia non è mai stata una officina di miti pensieri quanto piuttosto un luogo di grandi controversie, forse ancor più di altre discipline cui non si attribuisce invece, chissà perché, una vocazione pacificatoria. Quella del filosofo saggio e riflessivo, benevolo, magnanimo e disposto al perdono e alla conciliazione sarà anche una bella immagine che potrà forse valere per qualche stoico di nome e di fatto, ma non corrisponde a quanto è successo nel tempo.
Compiremo ora dunque una piccola ricostruzione storica delle grandi dispute che ebbero luogo tra i maggiori filosofi, condotta con l’ausilio di un bel libro mai tradotto in italiano (Kurt Flasch, Kampfplätze des Philosophie. Große Kontroversen von Augustin bis Voltaire, Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M., 2008). Ivi troviamo Agostino di Ippona contro Giuliano di Eclano, lì a combattersi senza pietà intorno alla dottrina della grazia e al ruolo del peccato originale; il primo, Agostino, accanito assertore dell’idea di una colpa innata che avvelena il nostro destino e che potrà essere cancellata soltanto da un atto di grazia, del tutto arbitrario, della divinità; il secondo, un vescovo pelagiano originario delle parti di Avellino, che pensava che morte, sesso, piacere, sono fattori sì presenti negli esseri umani, ma di fatto innocenti e resi colpevoli soltanto dalla volontà di questi.
Continuando ci imbattiamo in Anselmo d’Aosta schierato contro il monaco Gaunilone; quello, Anselmo, con la sua nuova e «definitiva» prova dell’esistenza di Dio basata sulla definizione dello stesso come «l’essere del quale nulla può pensarsi di più grande» (quod nihil maius cogitari possit), questo – povero monaco del quale null’altro si conosce se non proprio la partecipazione a questa controversia – con la sua buonsensistica e demolitoria critica basata sull’esempio dell’«isola perduta»: se qualcuno vi dicesse che esiste un’isola ricchissima di beni, e che essa esiste in realtà, perché se non esistesse qualsiasi altra terra sarebbe superiore ad essa e quindi l’isola non sarebbe la più ricca, allora «non so se reputare più sciocco me, qualora gli credessi – conclude Gaunilone – o lui se credesse di avermi dimostrato l’esistenza di quell’isola/Dio».
Poi: i conflitti di Alberto il Grande contro Averroé, di Leibniz contro Locke, di Voltaire contro Pascal, i litigi di Hume e Rousseau etc. Tra l’altro dal lungo elenco delle controversie, qui citate in minima parte, emerge comunque il fatto che dibattiti sul libero arbitrio o sulla predestinazione, sulla presenza del corpo di Cristo nell’ostia, simbolica oppure reale (nel qual caso la sua carne verrebbe triturata dai denti dei fedeli) erano spesso occasioni di conflitti di tipo politico per il controllo del potere in Europa tra il papato e le autorità laiche.
Filosofi come gladiatori, si potrebbe dire, mostrando di condividere la tesi di ispirazione hegeliana, secondo la quale contrasti e conflitti intellettuali costituiscono il motore propulsore e il cuore della filosofia stessa, ma soprattutto, per quanto riguarda il passato, del conflitto tra fede e ragione.
Da quando il cristianesimo mise le mani anche sulla filosofia, è innegabile il fatto che esso abbia assunto spesso e volentieri posizioni dogmatiche e fanatiche, caratterizzate dall’assurdità logica nonché dalla crudeltà morale di alcune dottrine di parte cristiana come quelle relative al peccato originale, alla grazia e alla teodicea (sulle quali oggi il clero preferisce sorvolare parlando piuttosto di sesso, moralità e pace), oltre che a dimostrare, dall’altra, che l’identità europea non nasce da una pacata e amorosa sintesi di antichità e cristianesimo ma da una serie di duri conflitti nonché di attacchi condotti alla filosofia da teologi desiderosi di appropriarsene; nel precedente papato si è visto Benedetto XVI impegnato nel tentativo neoconservatore di proporre il cristianesimo come garante della restaurazione dei valori occidentali; il papato seguente è agli inizi, staremo a vedere che cosa avrà da dire su questioni squisitamente teoriche, sulle quali per il momento poco si esprime.
E’ presto per dare giudizi sulla contemporaneità: la ragione ha bisogno di tempi lunghi e di sguardi da lontano per districarsi nelle beghe e nelle controversie, anche se meramente filosofiche. Eppure è possibile intravvedere nella controversia recente tra «nuovi realisti» capitanati da Maurizio Ferraris e Markus Gabriel e costruzionisti senza condottieri quanto presenti e attivi, una sorta di aggressività da parte dei primi, soprattutto nel fornire un falso ritratto dell’avversario e costruendo con la sua parodia un fantoccio sul quale si ha buon gioco ad accanirsi.