Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 23/9/2013, 23 settembre 2013
LEZIONE SVIZZERA DI FINANZA LOCALE
«Mi perdoni il disturbo, ma vorrei capire come funziona la finanza locale da voi in Svizzera, perché qui in Italia abbiamo qualche problema e quest’anno i bilanci preventivi dei Comuni si faranno a novembre». «Anche da noi», risponde pronto il segretario generale di un grosso Comune del Canton Ticino. «D’accordo, però in Italia saranno i preventivi del 2013, non quelli dell’anno prossimo».
È tutta in questo dettaglio la differenza che corre fra il federalismo all’europea e quello di casa nostra, travolto in questi anni da un’ondata di fantasia normativa che dopo i tributi-tariffe e le imposte municipali-statali è arrivata a inventarsi i preventivi a consuntivo: preventivi di fine anno sulla base dei quali si assegnano a dirigenti e uffici gli obiettivi 2013, che arrivando a metà dicembre potranno chiedere solo di passare buone feste e fare bei regali di Natale ai bambini.
Certo, si obietterà, la Svizzera è un piccolo Paese tranquillo, non una grande Nazione ricca di differenze e complessità. In quanto a complessità, in effetti, le nostre regole di finanza pubblica non temono ormai rivali né in Europa né altrove, ma basta un rapido giro oltreconfine per capire che anche in Germania e Inghilterra la situazione è più svizzera che italiana, e che persino nella Francia centralista di Napoleone e De Gaulle i bilanci locali spesso respirano meglio che nell’Italia del federalismo parolaio. E allora le "vite parallele" di un Comune svizzero e di un suo omologo italiano possono offrire squarci illuminanti, soprattutto per capire come cambia la vita dei contribuenti. Per fare i propri conti, il nostro segretario municipale ticinese guarda prima di tutto ai due pilastri della fiscalità locale: il «moltiplicatore» dell’imposta cantonale, che nel meccanismo è simile alla nostra addizionale Irpef ma ovviamente ha un peso specifico maggiore perché la Svizzera è superfederalista, e l’imposta immobiliare, che è cugina della nostra Imu ma è calcolata su stime di mercato e non sui valori archeologici del Catasto all’italiana. Il funzionario è alle prese con calcoli tutto sommato semplici, perché la struttura del finanziamento è uguale negli anni e il suo compito è quello di allineare moltiplicatore e imposta immobiliare alle esigenze dell’ente. In un quadro così stabile, da un anno all’altro non cambia nulla, e alla fine dei conti il Comune manda a ogni contribuente una lettera che, saluti iniziali e firme finali comprese, non supera le 10 righe: «Gentile contribuente, richiamata la Legge Organica Comunale (Loc) si notifica che il moltiplicatore dell’imposta cantonale è l’80% e l’imposta immobiliare è dell’1 per mille. Firmato: il sindaco e il segretario».
Da noi avvisi e modelli precompilati sarebbero un obbligo di legge, ma il costante smottamento normativo ha trasformato in un rompicapo una prassi che in tanti Comuni era in uso da anni. I sindaci, per esempio, dovrebbero mandare il modello pre-compilato per il saldo della Tares, ma anche se il tributo ha pochi mesi di vita i criteri di calcolo sono appena cambiati (per l’ennesima volta) e i nuovi parametri sono al centro del solito caotico dibattito interpretativo. A dicembre, poi, i Comuni sono chiamati a inviare il modello per la maggiorazione Tares, che però è statale e ha un calendario diverso da quella comunale, e contro questo doppio invio (con doppi costi) per conto terzi si sta per accendere l’ennesima polemica.
Tornando in Svizzera, alle imposte vanno aggiunti i trasferimenti assegnati dai Cantoni per le funzioni di loro competenza ma delegati ai Comuni. Se per esempio il municipio gestisce una Casa Anziani, il Cantone gli gira una quota di finanziamento misurata sul numero di ospiti, la percentuale di non autosufficienti, la tipologia di servizi offerti e quindi l’entità del personale che serve a garantirli. Il Comune può spendere di più, ma per farlo deve mettere mano alle proprie casse, cioè alle proprie tasse. «Ma sono i nostri fabbisogni standard!», esclamerà qualche appassionato del dibattito federalista che ci impegna qui sotto le Alpi. Certo, ma i nostri fabbisogni standard sono spariti dai radar: dopo aver diffuso i dati su «amministrazione generale» e Polizia locale, l’appuntamento era con i numeri dell’istruzione, terza «funzione fondamentale» dei Comuni. I calcoli sono stati fatti, ma le ragioni della matematica non hanno coinciso con quelle della politica, e il meccanismo si è arenato: esattamente come accaduto ai costi standard delle Regioni, schiacciati a inizio estate da una baruffa fra Governatori per decidere quali fossero le amministrazioni «virtuose».
Le vite parallele dei Comuni si riflettono naturalmente sulle vite parallele dei contribuenti. In Svizzera basta un salto sui siti Internet dei dipartimenti Finanze dei cantoni per calcolare in pochi passaggi le tasse che ogni famiglia e ogni impresa devono pagare in ogni Comune. I più curiosi, poi, con pochi click possono confrontare i risultati delle diverse scelte fiscali locali, e scoprire per esempio che il Canton Ticino spende 687 franchi pro capite all’anno per l’amministrazione generale contro i 510 della media Svizzera (ma il Cantone Ur ne spende 769) o l’evoluzione del tasso di copertura di ogni servizio in ciascun cantone. E mentre gli svizzeri spulciano tabelle, noi aspettiamo la prossima puntata dei serial sull’Imu, sulla Tares e sulla service tax.
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