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 2013  settembre 23 Lunedì calendario

IL CONTO PER LE FAMIGLIE: 402 MILIARDI


Vale 402 miliardi, tra tasse dirette, indirette e contributi sociali il "sacrificio" delle famiglie italiane al fisco nel 2012. Un assegno pesante - stimato da Luigi Campiglio, ordinario di politica economica all’Università Cattolica di Milano, in uno studio sulla pressione fiscale delle famiglie – che rappresenta circa il 60% degli introiti fiscali complessivi della Pubblica amministrazione.
Metà dell’importo (204 miliardi) è stato destinato al pagamento di Irpef, addizionali comunali, regionali e Imu, mentre Iva, accise e altre imposte indirette sono costate alle famiglie 127 miliardi. Lo scorso anno sono poi entrati nelle casse dell’Erario 71 miliardi sotto forma di contributi sociali effettivi. Così se nel 2012 la pressione fiscale complessiva ha raggiunto il suo massimo storico pari al 44% del Pil rispetto al 42,6% del 2011 e al 38,3% del 1990 «l’aumento – dice Campiglio – è stato particolarmente oneroso per le famiglie consumatrici, che negli ultimi 20 anni hanno visto crescere la pressione fiscale e tributaria del 4 per cento. È questo il risultato di tre manovre per allineare l’Italia agli altri Paesi europei: nel 1992, nel 1998 per finanziare l’ingresso nell’euro e la manovra di austerità del 2011 e 2012 che è stata il colpo finale». Tre terapie che hanno avuto effetti collaterali indesiderati per le famiglie, con una diminuzione del loro reddito medio reale e della capacità di risparmio, e un effetto domino sull’intera economia, come dimostra la fotografia dagli anni ’90 ad oggi. A subìre i primi contraccolpi è stato il reddito disponibile per nucleo familiare, crollato del 25 per cento. Il portafogli sempre più leggero ha lentamente eroso anche il cuscinetto dei risparmi, con un gruzzolo accumulato rispetto al reddito, un tempo fiore all’occhiello del nostro Paese, passato in vent’anni dal 24 all’8 per cento, al di sotto della media europea, che è del 10,7 per cento.
Secondo lo studio, nel periodo preso in esame la capacità di risparmio dei nuclei familiari rispetto al Pil ha segnato una diminuzione dell’8,4% che si è riflessa in un arretramento del risparmio lordo per l’intera economia (imprese, società finanziarie e settore pubblico) del 5,1% e quindi sulle opportunità di investimento e di crescita. Restringendo il focus dal 2007 a oggi il tesoretto accumulato per l’intera economia si è assottigliato di 3,7 punti percentuali, ma l’onere è ricaduto quasi interamente sulle famiglie consumatrici, che hanno sperimentato sulla loro pelle una diminuzione del 2,9 per cento.
La spirale negativa ha poi travolto i consumi, che in termini reali sono dimunuiti del 10% dal 1991 ad oggi. «La capacità di spesa – spiega Campiglio – ha tenuto finché non è stata infranta la soglia psicologica del tasso di risparmio all’8%, poi ha iniziato la discesa». Così dal 2007 allo scorso anno i consumi reali hanno lasciato sul terreno il 12%, azzerando il modesto aumento del 2% nel periodo 1991-2007. «Per invertire il trend e imboccare la via della crescita – sottolinea Campiglio – serve dunque una riforma fiscale che ponga al centro la famiglia come unità di scelta e di consumo, con un focus sul reddito familiare».
La ricerca misura poi l’impatto delle imposte dirette e indirette a seconda delle fasce di reddito per nucleo familiare. Nel complesso - si legge - il sistema tributario presenta aspetti di regressività per metà delle famiglie. Un aumento dell’Irpef avrebbe così un impatto significativo per il 50% nei nuclei con più alto reddito, mentre un ritocco dell’Iva – oggi allo studio – colpirebbe soprattutto il 50% delle famiglie a più basso reddito. «Un aumento dell’imposta – conclude Campiglio – sarebbe dannoso su due fronti: avrebbe un impatto sui prezzi e quindi sulla competitività del Paese e deprimerebbe ancor di più la domanda interna. Se poi l’aumento fosse proprio inevitabile una soluzione per non far ricadere l’onere sulle fasce più deboli sarebbe quella di puntare a una maggiore differenziazione delle aliquote».