Alessandro Graziani, Il Sole 24 Ore 24/9/2013, 24 settembre 2013
MIRE ESTERE SU TLC, ALITALIA E FINMECCANICA, IL SISTEMA-ITALIA SI SCOPRE SENZA CAPITALI
Telecom verso gli spagnoli di Telefonica, Alitalia ai francesi di Air France, le tre Ansaldo (Energia, Sts e Breda) ai coreani di Doosan, agli americani di General Electric e ai giapponesi di Hitachi. È la prospettiva delle prossime settimane per tre grandi gruppi italiani pesantemente colpiti dalla crisi. Sono solo i casi più clamorosi ed evidenti della sconfitta del sistema-Italia, soprattutto se i probabili acquirenti dovessero procedere a break-up delle attività in Italia e all’estero con pesanti ricadute occupazionali. I nodi irrisolti di vecchi errori gestionali sembrano venire al pettine tutti insieme e il sistema-Italia pare incapace di reagire e di caogulare i capitali necessari per difendere le proprie grandi imprese. Il problema principale è che i capitali non ci sono.
L’unico soggetto a essere invocato per interventi di rilancio o salvataggi vari, paradossalmente proprio mentre il Governo riapre il dossier privatizzazioni, è la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), chiamata a investire su tutti i dossier delicati. Dalla rete Telecom ad Alitalia fino a tutte le partecipate di Finmeccanica in vendita, la richiesta che si alza dalla aziende in crisi o in fase di rilancio è per un intervento della Cdp, direttamente o attraverso le sue controllate o partecipate (da Fintecna al Fondo Strategico fino a F2i). Si profila all’orizzonte una nuova Iri? In un Paese di capitalisti sempre più senza senza capitali non è assurdo che lo Stato intervenga, come in questi anni hanno fatto altri Paesi europei, per salvare e rilanciare grandi gruppi in crisi. Ma allora, come ha più volte ricordato il presidente di Cdp Franco Bassanini, serve un mandato esplicito alla Cassa Depositi.
La difesa a oltranza dell’italianità delle imprese, che forse non ha mai avuto senso, ora sta diventando impossibile. Manca un mercato dei capitali che finanzi le imprese e mancano gli investitori istituzionali. Storia nota, purtroppo. La novità, che spiega molto di quanto sta accadendo e accadrà, è che è venuto a mancare anche lo storico sostegno delle grandi banche al sistema-Italia. Per decenni Mediobanca ha fatto da sostegno, direttamente ma soprattutto indirettamente attraverso il grande polmone finanziario delle Assicurazioni Generali e delle banche e assicurazioni che ruotavano intorno alla cosiddetta Galassia del Nord, al sistema industriale italiano. Garantendo ricapitalizzazioni tramite i patti di sindacato. Che venivano costituiti sia per i grandi gruppi privati in difficoltà sia per creare nuclei stabili di azionisti di società privatizzate. Ruolo che negli ultimi anni aveva svolto in più occasioni anche Intesa Sanpaolo.
Quel vecchio mondo è stato spazzato via dalla crisi finanziaria globale avviata nel 2007 e, ancora di più, dalle nuove regole sul capitale di Basilea 3 che penalizzano gli investimenti nelle quote di minoranza. La conseguenza è stata l’addio annunciato ai patti di sindacato da parte di Mediobanca e alla riduzione, graduale ma indispensabile, della stessa Mediobanca e di Intesa Sanpaolo delle tante partecipazioni finora considerate «strategiche». UniCredit si è sempre tenuto fuori dalle interessenze azionarie, Ubi Banca non ha la taglia nè la vocazione a grandi operazioni di merchant banking. Il resto del sistema bancario italiano, anche tralasciando il caso del Monte Paschi a rischio nazionalizzazione, è in grave crisi: in media il rating delle banche medie è junk e la necessità, in qualche caso l’urgenza, è di rafforzare il proprio patrimonio. Senza contare che il prossimo trasferimento della vigilanza dalla Banca d’Italia alla Bce, che si teme più severa perchè terrà conto del rischio-Italia che accompagna il sistema bancario domestico agli occhi (non sempre obiettivi) dell’Europa, sta determinando nuovi accantonamenti sui crediti in sofferenza con il rischio di una nuova frenata agli impieghi alle imprese.
È in questo contesto di fragilità del sistema, stremato dalla crisi e alle prese con le nuove regole sulle banche, che l’Italia si prepara ad affrontare l’avanzata dei grandi gruppi esteri che puntano a comprare a prezzi da saldo molte grandi aziende italiane, pubbliche e private.