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 2013  settembre 24 Martedì calendario

MENO BAMBINI A LAVORO. SEMPRE TROPPI

La maggior parte svolge lavori pericolosi e non remunerati, c’è poca distinzione tra maschi e femmine. Oggi sono 168 milioni i minori costretti a lavorare, l’11% del totale. La buona notizia è che sono in diminuizione: nel 2000 erano 246 milioni, una cifra scesa di oltre un un terzo in un decennio.
I maggiori risultati sono stati registrati a partire dal 2008. Lo scrive l’Ilo nel suo Rapporto.
In questo caso si può davvero parlare di progresso, perchè rispetto al 2008 ci sono sono 47 milioni in meno di minori nel mondo del lavoro. La situazione è migliorata in Asia, dove in soli 4 anni l’incidenza del lavoro minorile è diminuita di ben il 4%. A preoccupare maggiormente è l’Africa sub-sahariana, dove si registra la maggior incidenza del fenomeno (30 %) con più di un bambino su 5 impiegato in agricoltura, edilizia e servizi.
L’altro dato rilevante è che la maggior parte dei little workers svolge lavori pericolosi che «per loro natura producono effetti negativi sulla salute, sicurezza e sviluppo morale». Sono oltre 85 milioni, di cui 31 in Asia e oltre 30 in Africa subsahariana. Per quanto riguarda la distribuzione per sesso dai 15 ai 17 anni, in più dell’ 80 % dei casi si tratta di ragazzi. Nella fascia dai 5 agli 11 anni, le bambine sottoposte a lavori pericolosi sono il 58% del totale.
Quasi il 60% dei minori viene impiegato in agricoltura, il 25% nei servizi, mentre svolgono lavori domestici il 7% dei ragazzi, anche se ci tiene a ribadire l’Ilo: « Il lavoro svolto all’interno della propria famiglia e della propria casa non è conteggiato». Conseguenza diretta del lavoro minorile "nascosto", è l’assenza pressochè totale di remunerazione. I bambini schiavi lavorano senza essere ricompensati nel 68% dei casi, tanto più se il datore di lavoro coincide con la famiglia.
Il problema delle mansioni non misurabili viene evidenziato in relazione al lavoro forzato «in ragione della natura illecita di queste forme estreme di sfruttamento». Tuttavia si stima che oltre 5 milioni di minori siano coinvolti in questo tipo di attività, tra cui rientrano per esempio lo sfruttamento sessuale e la partecipazione ai conflitti armati, anche per conto dello Stato.
«Il lavoro minorile come forma di sfruttamento non va affatto sottovalutato. In Europa, che non rientra in studi come quello uscito ieri, con l’aumento della povertà il fenomeno è in risalita, anche se in forme totalmente illegali», commenta Carola Moncada, del progetto Children rough sleepers, che si occupa dei minori invisibili, scappati dalle case famiglie o fuggiti dalle loro patrie in cerca di una vita migliore e coinvolti nelle peggiori forme di moderna schiavitù, senza che si conosca il loro destino.
L’emergenza dei minori senza fissa dimora si è fatta più forte con la crisi, ma è davvero difficile avere una panoramica numerica attendibile su questi ragazzi, invisibili anche ai controlli della polizia. Secondo Children rough sleepers sarebbero più di 10.000 i ragazzi scomparsi in Italia negli ultimi 10 anni. La maggior parte (8632) non avrebbe la cittadinanza italiana e proverrebbe proprio da quei paesi in cui lo sfruttamento è conclamato e misurabile.