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 2013  settembre 24 Martedì calendario

IL FIGLIO: «RISCHIÒ PROTETTO DAL SUO NOME. UN FUORICLASSE ANCHE NELLA VITA»


Andrea Bartali, primogenito del grande Ginettaccio, è felicissimo del riconoscimento tributato al padre: «Mi avevano detto che la decisione era stata presa il 7 luglio scorso e credevo che l’avrebbero comunicata il 19 luglio, giorno in cui papà avrebbe compiuto 99 anni. Invece l’hanno ufficializzato solo ora forse perché c’è il Mondiale di ciclismo a Firenze, la sua città».

Suo padre le aveva mai parlato della sua attività clandestina a favore degli ebrei durante la guerra?

«Certo, ma aggiungeva sempre di non dire mai niente a nessuno, nemmeno alla mamma: “Il bene si fa ma non si dice, è troppo facile farsi belli con le sventure altrui”».

Lei non aveva mai sospettato che suo padre fosse anche un benefattore?

«Ero piccolo, ma sapevo che aiutava gli ebrei, alcuni rimasero nascosti per anni nella nostra cantina».

Che cosa le raccontava papà delle sue missioni in bici?

«Che andava da Firenze a Genova nascondendo nel telaio della bici documenti falsificati per favorire l’espatrio degli ebrei. Era tutto organizzato dalla Curia, che a Genova gli dava un posto per dormire e dei soldi da portare a Firenze. Se lo avessero scoperto, lo avrebbero sicuramente fucilato».

Ma suo padre non aveva paura?

«Certo, ma lo faceva lo stesso. Usciva con i pantaloni alla zuava, la maglia da allenamento e la scritta “Bartali” ben visibile, in modo che tutti lo riconoscessero. E a chi lo fermava parlava del Giro d’Italia o del Tour de France. Così credo che abbia salvato almeno 700-800 ebrei».

Suo padre era molto religioso?

«Sì, aveva una fede incrollabile. Prese anche i voti da terziario carmelitano e gli diedero un mantello bianco, con il quale lo abbiamo vestito il giorno della sua morte. Papà era un campione anche nella vita».