Gabriele Romagnoli, la Repubblica 24/9/2013, 24 settembre 2013
REINA, NEMESI DI MARIO QUEL SORSO D’ACQUA PRIMA DELL’IMPRESA
Sembrava un vecchio spot con Massimo Lopez: aveva di fronte il plotone d’esecuzione schierato, fucili puntati, e lui si faceva una bella telefonata, allungandosi la vita e deconcentrando chi doveva mettervi fine. Così Pepe Reina, davanti all’infallibilità fatta persona e rigorista, Mario Balotelli, 21 su 21, palla sul dischetto, rincorsa pronta, ha decretato la sospensione del destino segnato. Pausa. Aspetta un attimo: esco dalla porta di casa e vado a bere un sorso d’acqua, faccio due gargarismi, mi asciugo, tu fermo lì, non ti muovere che torno. In quel fuggevole istante ha cancellato le 147 pagine del romanzo di Peter Handke sull’angoscia del portiere “Prima del calcio di rigore”, minato la sicumera di un ragazzino fragile (vuoi vedere che adesso Supermario diventa un cecchino a intermittenza?) e contribuito alla crescente leggenda di Don Raffaè, «uomo sceltissimo e immenso a cui chiede consenso », a Milano un fallimento, a Napoli un portento.
Quando tutto questo accade la partita può ancora essere riaperta, l’impresa mancante dai tempi di Maradona sfumare. La sopravvivenza di un’ebbrezza collettiva è nelle mani di un portiere di notte. Pepe è arrivato per sbaglio e per ultimo. Serviva un tutore per il giovane Rafael, che è il futuro. De Sanctis ha preferito giocarsela a Roma. Julio Cesar non s’è accordato. Don Raffaè ha sfogliato l’album dei ricordi e ci ha trovato Pepe, compagno di merende al Liverpool. In quelle stagioni fece almeno un paio di cose eccezionali. Nel 2004-2005 parò 7 rigori su 9. Nel 2006-2007 in Champions decise la semifinale con il Chelsea fermandone due. La storia è figlia della necessità e del caso, ma è la madre a darle i geni. Pepe è la nemesi di Mario. L’attaccante ha la cresta, il portiere manco un capello. Uno è irascibile, l’altro impassibile. Nel momento dell’esecuzione Balotelli è freddo, Reina caldo. Ha caldo, parrebbe. Invece di stare dove il tiratore l’aspetta, si sposta. Ma non è lo spazio che dilata, è il tempo. Uscendo per andare a fare le abluzioni impone all’avversario una concentrazione più lunga, nella particolare circostanza una cosa molto difficile. Pepe invece ne ha bisogno. Esiste un video su YouTube dove prova uno strano congegno allenariflessi chiamato Batak. Trenta secondi per fare il punteggio massimo colpendo con la mano pulsanti che si accendono all’improvviso sulla superficie che si ha di fronte. Al primo tentativo Reina è scarso, poi capisce come funziona la baracca, si applica e diventa a sua volta un congegno automatico. Nei tempi “regolamentari” vincerebbe Balotelli, ma lui lo porta ai “supplementari”, dove può batterlo. Se l’altro è sempre andato al dischetto senza timore, gli mostra di averne ancor meno. Parare il tuo tiro? Come bere un bicchier d’acqua, come bere da questa borraccia. Un momento, mi asciugo e ti faccio vedere come. La chiave dei rigori perfetti di Mario è quell’attimo in cui sospende la rincorsa e guarda che cosa fa il portiere per regolarsi a piazzare la palla. Reina gli chiude la porta in quell’altro attimo in cui prende tempo e decide che cosa fare quando le lancette si fermeranno: niente.
Di nuovo, tutto questo sarebbe figlio del caso, se non lo fosse di Benitez. Al momento dei rigori i suoi portieri vanno in scena. Esattamente come lui durante le partite. Guardatelo mentre sa di essere ripreso in eurovisione dopo un gol del Napoli. Privo di visibili emozioni annota presunte strategie su un taccuino. Probabilmente scrive dodici volte TIÉ! I suoi portieri invece si agitano. Sanno tutto dei tiratori, e sanno come innervosirli. Nella finale di Istanbul contro il Milan, il polacco del Liverpool, l’indimenticato Jerzy Dudek, andava personalmente a consegnare il pallone all’avversario, poi si piazzava sulla riga e agitava le braccia come un bambino che fa il gioco dell’angelo sulla neve, solo che era in Turchia d’estate e quella sceneggiata si rivelò diabolica: ne parò tre, poi disse che era stata la mano del vice di Dio, papa Woytjla.
Una sfida dagli undici metri non ha storia se l’attaccante fa quel che deve (tiro angolato e forte). Per deragliare il treno il portiere può soltanto mettere un sassolino sulla rotaia e indurlo a rallentare, deviare, uscire dal corso prestabilito degli eventi. Possono bastare due centimetri in più dal palo, due decimi di secondo in meno di velocità, due sguardi che s’incrociano e fan fare altrettanto alla mano e al pallone. È un’alchimia senza regole, fuorché una, la solita e sacrosanta: non ci sono regole.