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 2013  settembre 23 Lunedì calendario

BRAY, IL MINISTRO DEL NULLA RACCOMANDATO DA D’ ALEMA

Mentre mi accingo a scri­vere di Massimo Bray, neo ministro pd dei Beni Culturali, ho come la sen­sazione che, per parlarne, do­vrò spesso ricorrere alla parola: nulla.
Per cominciare, è dal nulla che proviene. Nessuno, tran­ne la cerchia dalemiana che lo ha prodotto, ne conosceva l’esistenza fino al debutto da deputato in febbraio e alla no­mina a ministro il 28 aprile. Due en plein in un paio di mesi per un uomo di mezza età -Bray ha 54 an­ni- che, tocca­to dalla bac­chetta di Max D’Alema, ha emulato il ca­vallo promos­sosenatoreda Caligola. Se n’è indi­gnato Ernesto Galli della Loggia, in genere cauto com­mentatore del badiale Corriere della Sera , al punto da vergare un corsivo al gas nervino. «Men­tre nessuno - scrisse il giorno stesso in cui Bray divenne mini­stro - avrebbe mai osato nomi­nare all’Economia o all’Istru­zione, un illustre sconosciuto, o qualcuno dalle competenze inesistenti, per i Beni culturali, si è potuto benissimo. È bastato che così abbia voluto un ras po­litico... per bassi calcoli di pote­re correntizio». Questo - con­cluse l’Ernesto furioso - è «cosa inaccettabile. Destinata a se­gnare un distacco ulteriore tra il Paese... e la politica». Ferocia forse eccessiva - alle mezze figu­re i Beni culturali sono abituati, dalla bella Melandri, ai diplo­mati Rutelli e Veltroni - ma il curriculum del neo ministro conferma che nulla lo destina­va all’incarico se non il divin ca­priccio di D’Alema, ras del Sa­lentino di cui il Nostro è nativo.
È di Lecce, infatti, Massimo Bray, cognome che da quelle parti si pronuncia con l’accen­to sulla ipsilon, Braì, rampollo di uno stimato cardiologo, oggi ultranovantenne. Dopo il li­ceo, il giovanotto traslocò a Fi­renze dove, a 25 anni, si laureò in Lettere. Ebbe il suo primo la­voro a 31 anni, assunto dall’En­ciclopediaTreccani come re­dattore per le voci di Storia mo­derna.
Come e perché sia stato reclu­tato in veste di storico, non è da­to sapere. La biografia ufficiale nel sito del governo è avara di dati concreti, mentre largheg­gia in fronzoli. Non si capisce, per esempio, se sia laureato nel ramo storico o abbia approfon­di­to la materia in studi successi­vi, così da giustificare l’assun­zione. Neanche si afferra cosa abbia combinato dalla laurea nell’84 al primo impiego nel ’91. La biografia parla per que­sti sette anni di «un itinerario da borsista», espressione mon­dan- turistica che evoca l’imma­gine di un chierico vagante per le strade d’Europa. Secondo il sito, ha usufruito di borse di stu­dio a Napoli, Venezia, Parigi e Simancas. Per cosa e conto di chi è un mistero.
Le borse di studio, che si sap­pia, si ottengono da università, Cnr e simili istituzioni cultura­li. Chi le ha date a Bray per con­sentirgli di trotterellare a lungo prima di gua­dagnarsi da vi­vere con un normale lavo­ro? Ha per ca­so messo a frutto le ricer­che con libri, saggi, artico­li? Vattelape­sca. Solo il sog­giorno a Si­mancas, villaggio castigliano di tremila abitanti, ci dà una traccia. Costà ha sede, infatti, l’Archivio di Stato spagnolo che, ovviamente, ha attinenza con la Storia.
Massimo è tuttora dipenden­te della Treccani,dove ha colla­borato alla digitalizzazione del­le enciclopedie treccanesche. Quale sia stato, in quest’ambi­to, il suo reale contributo è, al solito, indecifrabile. Secondo la nota scheda, «ha seguito l’apertura al web con grande en­tusiasmo ». Significa che ha ma­terialmente fatto qualcosa o si è limitato a gridolini e salti di gioia? Vai a saperlo. Alla Trecca­ni il forse storico ha frequenta­to Giuliano Amato, che presie­deva l’Istituto fino a una setti­mana fa quando è passato alla Consulta. Amato inoltre era so­cio della fondazione di D’Ale­ma, Italianieuropei. Così, con la doppia protezione di Max e Giuliano, Massimo è diventato anche direttore dell’omonima rivista. Poi, come una ciliegia ti­ra l’altra, Lucia Annunziata ­che avendo in D’Alema il pro­prio faro, pensava di fargli cosa grata - ha offerto a Bray una ru­brica sull’ HuffingtonPost ,il giornale digitale, affiliato alla catena dell’ Espresso debene­dettiano, che dirige. Collabora­zione che Massimo ha prose­guito imperterrito dopo la no­mina ai Beni Culturali. Quindi, oggi abbiamo un ministro schierato con un gruppo edito­riale e, se non scrive gratis, a li­bro paga del medesimo.
Si è invece dimesso da un’al­tra curiosa prebenda ottenuta grazie al milieupugliese di D’Alema: la presidenza de «La Notte della Taranta», fondazio­ne che organizza nella Grecìa salentina un danaroso Festival di musica popolare, dedicato ­nientemeno - che al recupero della pizzica. A dargli l’incarico anni fa furono i cacicchi locali di Baffino - Sergio Blasi e Salva­tore Capone - , gli stessi che in febbraio lo hanno catapultato in Parlamento.
Assurto a ministro, Bray ha dato il meglio di sé come piacio­ne. Su diversi siti, su Facebook ecc., dice ininterrottamente la sua sulla cultura - «salviamola per salvare il Paese»; «su que­stoci giochiamo tutto» -, infar­cendo ogni riga di «fruizione», «nicchie di ricezione», «turi­smo consapevole» che danno la chiara sensazione del nulla. Tanto più che considera il bene culturale monopolio statale, con esclusione degli aborriti privati, in un momento in cui le casse pubbliche sono a secco. Ai pistolotti politici in rete, alter­na citazioni, poesie di suo gu­sto, brevi cenni sull’universo che mandano in sollucchero le signore sue fan le quali, come Maya Santo commentano: «Fantastico, il mio ministro pre­ferito » o come Alessandra che gli spedisce via web un fumetti­stico: «Smack».
Non inquietatevi se un gior­no, visitando un museo o una dimora storica, vi troverete ac­canto un tipo bizzarro, con zai­netto e auricolare, che paresfuggito a un sorvegliante. È il Nostro in una delle sue incur­sioni a sorpresa nei luoghi d’ar­te, dove controlla che il perso­nale sia efficiente e i sovrinten­denti degni del ruolo. È già suc­cesso a Pompei dov’è andato in treno -ma senza riuscire ad arri­vare perché a metà viaggio la Circumvesuviana fu manomes­sa da vandali- , alla Reggia di Ca­serta dove è giunto in bici e in al­tri luoghi.
Inquietatevi invece se torne­rà al Teatro Valle di Roma, dove ha trascorso una serata per assi­stere allapiècedella collega di Repubblica , Concita De Grego­rio, del suo stesso gruppo edito­riale. Il Valle, come si sa, fu oc­cupato due anni fa alla maniera dei no global da borghesi e suf­fragette e vive illegalmente a spese della collettività. Diversi trovano chic andarci per sentir­si progressisti in trincea. Passi per Stefano Rodotà che deve da­re un senso ai suoi ottant’anni. Ma se lo fa anche Bray,amoreg­giando da ministro con l’illicei­tà, del ruolo che ricopre non ha capito nulla. E se il premier Let­ta fosse serio, il nulla dovrebbe tornare nel nulla.