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 2013  settembre 24 Martedì calendario

TUTTO QUEL CHE DOBBIAMO A ODB


Tornato in edicola a luglio, dopo la sospensione dovuta al nuovo assetto della casa editrice (Baldini&Castoldi editore al posto di Dalai editore, il figlio al posto del padre), arriva ora il terzo numero del rinato «Linus» diretto da Stefania Rumor, con un omaggio a Oreste del Buono nume tutelare e anima instancabile della rivista. Si ricorda così, sulle pagine del suo giornale, che OdB moriva dieci anni fa, a Roma, il 30 settembre. A «Linus», creato da Giovanni Gandini nel 1965, del Buono aveva collaborato fino dall’inizio (sul primo numero c’era un confronto a tre fra lui, Elio Vittorini e Umberto Eco sui fumetti di Schulz) poi, nel 1971, quando la rivista fu acquistata dalla Rizzoli, ne sarebbe divenuto direttore per dieci anni.
È lui che sceglie di avvicinare il giornale ai nuovi bisogni e agli umori politici delle più giovani generazioni, che introduce disegnatori italiani (Chiappori, Pericoli-Pirella, Altan, Staino), che crea una testata di intervento come «alterlinus» dove non a caso escono le storie di Penthotal di Andrea Pazienza e quelle di Igort. Più tardi, nei suoi ultimi anni, avrebbe ripreso la direzione di «Linus» per impedirne la chiusura, caso unico di fedeltà e continuità nella vita professionale di chi aveva superato quota 100 dimissioni e diceva, assai contento, di essersi guadagnato l’epiteto di «inaffidabile». «Linus», del resto, gli garantiva un colloquio vero con i lettori, rapporto a cui teneva moltissimo come provano le rubriche di lettere tenute sul «Corriere» con la bellissima Talpa di città e sulla «Stampa» (Specchio dei tempi).
Nei dieci anni trascorsi dalla morte, l’editore Isbn ha cominciato a ripubblicare i suoi romanzi e racconti e gli ha dedicato un Antimeridiano a sottolineare la natura irregolare, non conformista, dell’opera di del Buono sia come scrittore che come organizzatore di cultura. Per il resto, però, c’è stato un unanime silenzio, segno del fatto che nessuno ha sentito il bisogno di ricordare tutto quello che dovevamo, dobbiamo a OdB. Mentre nelle università si moltiplicano le tesi sulla pubblicità, mentre l’editoria si entusiasma per i graphic novel e in testa alle classifiche svettano libri pseudo-audaci, pare assurdo che del Buono non si sia meritato almeno una nota, una citazione. Lui che aveva tenuto una rubrica sugli spot pubblicitari, considerati come nuovi veicoli dell’immaginario collettivo; lui che aveva introdotto da noi la grande narrativa a fumetti; lui che, nel 1994, aveva curato per Sperling & Kupfer una collana erotica, «I sensi», scegliendo come primi quattro titoli: Sade, il porno viennese Josephine Mutzenbacher attribuito a Felix Salten (l’autore di Bambi), L’albergo bianco di D.M. Thomas, la biografia scandalosa di Truman Capote, ovvero il sesso con le sue perversioni e la sua realtà cruda e nuda.
Eppure, per anni, siamo tutti vissuti di rendita sulle scoperte di del Buono: senza di lui, Chandler e Hammett sarebbero rimasti nelle edicole delle stazioni. E così i fumetti. Ma il tempo, si sa, non è mai galantuomo. La colpa (il merito?) era un po’ anche sua, di quel suo non prendersi mai sul serio, di non avere nessuna prosopopea, di non far pesare cultura, preparazione o peggio ancora titoli accademici. Diceva che lo faceva per divertimento, e in malafede tutti si sentivano autorizzati a non dargli importanza. Salvo poi — con la famigerata antologia Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano del 1991 — gridare allo scandalo per lesa maestà: ma come si era permesso di pubblicare quel libretto di battute sotto il marchio prestigioso dello Struzzo einaudiano? Oltretutto con quel «s’incazzano» nel titolo. Nessuno davvero nessuno ricordava le sue bellissime traduzioni, dal francese soprattutto (Proust, Gide, Yourcenar, Kristeva). Forse non gli si perdonava il fatto che quando tutti i signori delle lettere con ridicolo ritardo si erano messi a scrivere cose serissime sui detective dei gialli americani o su 007, lui, infastidito, ridimensionava quei miti, a cominciare da quello di Bogart.
Anche in politica OdB era inaffidabile. Segnato da fascismo e comunismo (nel ’43 si arruola in marina in omaggio allo zio Teseo Tesei, morto nell’attacco alla base inglese di Malta; nel ’46, tornato dalla prigionia, vota comunista) era approdato a un sereno anarchismo, alla posizione di uno che non credeva più ai giuramenti, ed era più interessato ai programmi nuovi degli animalisti, dei vegani, piuttosto che alle bizantine discussioni su riformismo, revisionismo, sinistra sì ma come. Insomma, anche qui accumulava motivi per non essere perdonato, per non essere ricordato. Rideva molto, gli piaceva ridere anche se il Witz toscano che aveva nel suo Dna non era mai innocente e pacifico, conteneva una punta di cattiveria che può anche dispiacere, fare male. Ragion per cui veniva troppo spesso frainteso, come quando per un settimanale aveva scritto il proprio necrologio o quando parlava della tomba di famiglia all’Elba, un monumento neogotico di Adolfo Coppedè dove lui, pur essendo piccolo e minuto, dubitava di riuscire a entrarci.
Quando, nel 1994, pubblicando i trentatré ritratti di Amici, amici degli amici, maestri, diceva che il suo era un atto di riparazione per quelle persone della sua generazione che avevano avuto «la crudele ricompensa di essere dimenticate in fretta», forse pensava anche a sé.