Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 24/9/2013, 24 settembre 2013
LA PUSSY RIOT NADIA: «SONO CHIUSA IN UN GULAG STALINIANO»
Il capo della colonia penale l’aveva avvertita già al momento del suo arrivo: «Le mie idee sono staliniste». Ed effettivamente Nadia Tolokonnikova, una delle Pussy Riot incarcerate per aver protestato in una chiesa, dice di trovarsi in una versione moderna del famigerato arcipelago Gulag: diciassette ore al giorno di lavoro, detenute chiuse fuori dalle baracche d’inverno, rancio a base di pane secco e latte annacquato, pestaggi continui. Così ha deciso di reagire: ha iniziato lo sciopero della fame e ha fatto pubblicare dai suoi familiari una lettera aperta su Internet.
La voce di Nadia arriva dalla Mordovia, una repubblica a quattrocento chilometri da Mosca piena di colonie penali femminili. Le peggiori di tutta la Russia, dicono le detenute che ci sono passate.
Tolokonnikova, condannata assieme ad altre due cantanti del gruppo punk che si esibì nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, si è presa due anni e deve rimanere nella Colonia Correttiva numero 14 fino a marzo prossimo. Le circa 800 recluse lavorano con macchine da cucire antiquate e mezze rotte a confezionare divise per la polizia. «L’orario di lavoro è di otto ore al giorno, compresa una pausa per il pranzo», sostiene l’amministrazione carceraria. Ma le cose, nella realtà, starebbero ben diversamente. «Lavoriamo dalle sette e mezza del mattino a mezzanotte e mezza. Non abbiamo più di quattro ore per dormire. Ci danno un giorno libero ogni sei settimane», racconta Nadia. Ufficialmente sono le donne a presentare lettere nelle quali chiedono di poter fare gli straordinari e di lavorare anche di domenica. «Ma in realtà riceviamo l’ordine di scriverle». Al termine delle 17 ore di lavoro, le donne sono distrutte, abbrutite: «Le mani sono piene di piaghe e buchi fatti dagli aghi; il tavolo è coperto di sangue, ma tu continui a cucire».
La squadra sforna ogni giorno 150 divise, ma le richieste sono sempre crescenti. La «norma» viene alzata in continuazione, anche quando il numero delle detenute diminuisce. E il compenso per le detenute è ridicolo: «A giugno ho guadagnato 29 rubli», ha raccontato la Tolokonnikova; meno di un euro.
A pranzo, cena e colazione le prigioniere ricevono «avena, pane secco, latte annacquato e patate marce». Per la minima mancanza scatta il divieto di poter utilizzare il cibo inviato dai parenti. I capelli si possono lavare solo una volta a settimana, ma a volte il turno salta perché la pompa dell’acqua non funziona oppure gli scarichi sono otturati. Per la pulizia intima le 800 recluse hanno a disposizione un solo bagno per cinque persone alla volta. Ma tutto può essere tolto se le autorità decidono di infliggere una punizione non ufficiale: «Ci può essere il divieto di andare al gabinetto o quello di lavarsi, o quello di entrare nella baracca, anche d’inverno quando fa molto freddo». Le detenute vengono lasciate per ore e ore nell’anticamera delle camerate, dove non c’è riscaldamento. «Nella seconda squadra, dice Nadia, c’è una donna che ha passato una giornata intera in quel locale: le hanno dovuto amputare un piede e tutte le dita delle mani». I pestaggi sono all’ordine del giorno: sono le altre recluse ad eseguire le «sentenze», naturalmente senza che nessuno abbia emanato un ordine ufficiale. Nadia in genere non viene toccata, perché è troppo famosa. In fin dei conti il suo processo è stato seguito in tutto il mondo e per le Pussy Riot si sono mobilitate star del mondo dello spettacolo, da Madonna a Paul McCartney.
Fabrizio Dragosei