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 2013  settembre 24 Martedì calendario

CONTABILI, GUARDIE DEL CORPO, SEGRETARIE: RABBIA E TIMORI DEI 200 LAVORATORI «DEM»


«Nemmeno ai tempi della Bolognina c’è mai stato un momento in cui qualcuno lavorava contro la ditta, mai! I dirigenti si sono massacrati, si sono rotte amicizie e frantumati rapporti, ma nessuno osava mettere in discussione la casa...». La Casa del Pd è nel cinquecentesco palazzo del Nazareno e il dipendente che, a pochi metri dall’ingresso di via di Sant’Andrea delle Fratte, accetta di parlare sotto anonimato, è uno che le ha viste tutte, dalla svolta di Occhetto alla reggenza di Epifani. Il suo stato d’animo è quello di tanti colleghi, frastornati dalla «follia» di cui i dirigenti democratici hanno dato prova nella due-giorni dell’Assemblea nazionale: «Si pongono solo il problema del potere, stanno tagliando il ramo su cui sono seduti».
Se i muri del Nazareno potessero parlare scandirebbero termini come «rabbia», «preoccupazione», «frustrazione», misti ad altre emozioni ricorrenti come «passione» e «speranza». E tra i quasi duecento lavoratori Dem — guardie del corpo e segretarie, ragionieri e addetti alla manutenzione, portavoce e funzionari degli enti locali — c’è anche chi ha paura. Paura di parlare con i giornalisti e paura che la fine del finanziamento pubblico ai partiti si porti via il posto di lavoro.
La porta del Nazareno è sempre aperta, ma già l’accoglienza dice quanto gelida sia l’aria che tira. Scusi, lei è un dipendente del Pd o lavora per una società esterna? «Non rispondo a queste domande», chiude metaforicamente l’uscio uno dei portieri. E Roberto Cocco, che per oltre due lustri è stato l’ombra di Walter Veltroni: «Ho massimo rispetto per il vostro lavoro, ma preferisco non parlare». Dallo scalone scende Roberto Cuillo, già portavoce di Piero Fassino quando era segretario dei Ds e ora responsabile della redazione web. «Com’è il clima? Lo dico con un piccolo esempio. Per un mese e mezzo ho chiesto un incontro a Davide Zoggia, ma non mi ha mai ricevuto. Eppure mi ha nominato lui. Ecco, non vorrei che questo clima finisse per cambiare anche i rapporti umani tra di noi».
I pochi amici di Matteo Renzi che al Nazareno hanno un contratto a tempo indeterminato raccontano di sentirsi emarginati. Il «tortellino magico» nel quale si era rinchiuso Pier Luigi Bersani non esiste più, ma l’ex segretario ha chiesto (e ottenuto) una stanza di fronte a quella del successore Epifani. Un particolare che i veltroniani rivelano per ricordare, in modo un po’ agiografico, come il primo leader fece gli scatoloni il giorno stesso in cui diede le dimissioni.
«La cosa più amara è stata scoprire che la famosa “ditta” di cui parlavano i bersaniani era la loro ditta e non quella del Pd», si sfoga Domenico Petrolo, che nel 2008 lavorò sodo per la campagna in pullman di Veltroni. Il malessere contagia tutti i settori, paralizzati da un’atmosfera di stallo. «È grazie a Epifani se la data del congresso non si tocca — riconosce Lino Paganelli, responsabile delle Feste — Andare oltre l’8 dicembre sarebbe una sciagura, perché tutto resterebbe immobilizzato». Chi si affaccia nelle stanze dell’ufficio stampa trova un pool affiatato, afflitto però dalla mesta sensazione che «saranno i dipendenti a pagare il prezzo più alto». Una ragazza parla a lungo, conferma stima e fiducia al segretario, ma confessa anche la delusione e la frustrazione di chi lavora in un partito che non è riuscito a vincere le elezioni: «Le sconfitte fanno scoppiare le guerre». Dice nome e cognome, saluta e se ne va. La sera però richiama e ci ripensa: «Preferisco non essere citata, non me la sento... Qui è un momento molto difficile».
L ’Unità , storico quotidiano fondato da Antonio Gramsci, rischia brutto. Sui territori le risorse sono finite e per tanti dipendenti non c’è che la cassa integrazione. A metà del prossimo anno i soldi per pagare gli stipendi saranno agli sgoccioli anche a livello nazionale e allora l’elefantiaca struttura del Pd sarà giocoforza ridimensionata. Ma a sentire i dipendenti l’angoscia per il posto di lavoro è solo una parte della storia, l’altra parte è «l’incubo di sprofondare nelle sabbie mobili», è la «stagnazione», il timore che «il Pd lentamente affoghi, dilapidando un patrimonio culturale e politico».
Per raccontare la crisi basta un numero: nel 2012 i tesserati erano circa mezzo milione, oggi il dato oscilla intorno ai 200 mila, una emorragia che spaventa dirigenti e dipendenti. Al Nazareno fa notizia il post della militante Gianna Pieragostini («pioniera, Pci, Pds, Ds, Pd»), che ha raccontato su Facebook di essere stata respinta da via dei Giubbonari dopo mezzo secolo di tessera in tasca: «Mi hanno risposto che “i nuovi iscritti” (cioè io sarei una nuova iscritta) debbono fare un “colloquio di ammissione” con la segretaria... P.s. preciso che il circolo è quello dove si è iscritto Barca».
Giovanni Lattanzi, coordinatore del dipartimento Ambiente, riflette sull’appeal che il Pd ha perduto. Lo sconcerto dei militanti lui lo vede ogni giorno, eppure non intende arrendersi: «Ho preso la tessera quando avevo 18 anni, ne ho 40 e ci credo ancora». Non è arrabbiato? «Scriva pure che sono inc... Però penso che se ci sbrighiamo a fare il congresso le elezioni le vinciamo noi».
Monica Guerzoni