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 2013  settembre 24 Martedì calendario

E I «PATRIOTI» ABBANDONARONO ALITALIA


Il tricolore dell’Alitalia sarà dunque ammainato, al modico prezzo di cinque miliardi per gli italiani. Le indiscrezioni che circolano da settimane portano a una sola conclusione: l’avventura dei nostri «patrioti», come il Cavaliere definì quegli imprenditori che cinque anni fa si misero al servizio dell’operazione di «salvataggio» della compagnia di bandiera dalle grinfie francesi, è avviata al capolinea. L’Alitalia finirebbe all’Air France-Klm per un piatto di lenticchie decisamente più misero di quello che ci avrebbero offerto allora. E a sentire i giornali parigini, dovremmo perfino ringraziare la compagnia franco-olandese di prendersi questa rogna.
Per capire che sarebbe andata così, purtroppo, non ci voleva la palla di vetro. La storia dell’Alitalia è costellata d’incredibili errori manageriali, spesso conseguenza delle spregiudicate incursioni d’una politica totalmente disinteressata all’azienda e al Paese. Ma di tutti gli infortuni, l’ultimo è senza alcun dubbio il più clamoroso. Nel 2008 la nostra compagnia di bandiera, reduce dai trattamenti cui abbiamo accennato, era sull’orlo del fallimento. Air France-Klm si offrì di rilevarla pagando lo Stato italiano in azioni, con una quota di minoranza del grande gruppo nel quale sarebbe confluita, per un controvalore di 140 milioni. Avrebbe quindi investito un miliardo di euro nell’azienda, accollandosi pure 1,4 miliardi di debiti. Si sarebbero per giunta evitati il fallimento e la liquidazione, presumibilmente infinita, dell’Alitalia, con costi forse altrettanto infiniti per le pubbliche casse. Il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, dopo aver inutilmente fatto il giro delle sette chiese per trovare qualche imprenditore italiano disposto a rilevare la compagnia, s’era rassegnato alla soluzione francese. Da italiano, senza fare salti di gioia. Confessò di sentirsi «come il guidatore di un’ambulanza che sta correndo per portare il malato nell’unica clinica disposta ad accettarlo».
La campagna elettorale però infuriava e a Silvio Berlusconi non sembrò vero che gli venisse consegnata su un piatto d’argento un’arma tanto affilata per la sua offensiva propagandistica contro la sinistra accusata di voler «svendere» l’Alitalia ai francesi. Sappiamo com’è andata: il centrodestra vinse le elezioni, la vendita sfumò, la compagnia fu messa in liquidazione e si diede vita ad un’Alitalia bis guidata da Roberto Colaninno. Berlusconi non poteva venir meno alle promesse fatte prima delle elezioni e impegnò a fondo l’apparato (e il portafoglio) pubblico. Niente debiti, cassa integrazione per ben cinque anni, bonus per le assunzioni, deroghe alla concorrenza... Il disegno però non sarebbe andato a buon fine senza l’appoggio determinante del futuro ministro Corrado Passera, che collocò la sua Banca Intesa-San Paolo in prima fila fra gli azionisti. Alcuni dei quali, perfino concessionari dello Stato.
A cinque anni di distanza, ecco l’inevitabile resa dei conti. Magra consolazione per chi fin dall’inizio avvertiva (e temeva) che il conto dell’operazione «patrioti» lo avrebbero pagato gli italiani. Su questo giornale, Antonella Baccaro ha calcolato che il presunto salvataggio dell’Alitalia ci sia già costato 3,2 miliardi. Senza considerare il mancato incasso per la vendita, la liquidazione della vecchia compagnia, i maggiori oneri per gli utenti causati dal monopolio triennale sulla tratta Milano-Roma, gli scioperi del personale... E la bolletta per i contribuenti sarebbe stata ancora più salata se l’amministratore delegato d’Invitalia Domenico Arcuri e l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non avessero resistito alle pressioni di Palazzo Chigi che voleva far intervenire accanto ai «patrioti» la società pubblica. Ma anche senza quel supplemento, s’è arrivati a una cifra non troppo lontana dai 5 miliardi. Somma ben superiore, va ricordato, al gettito Imu per la prima casa.
Noi ce ne ricordiamo. Però vorremmo che se ne ricordassero anche i responsabili di quell’immane spreco. E magari chiedessero scusa, prima di pretendere l’abolizione dell’imposta su tutte le case di residenza e il blocco dell’aumento Iva. Perché ad appesantire il macigno di quelle tasse c’è una pietruzza che hanno messo loro.