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 2013  settembre 23 Lunedì calendario

LA COREA, I LAVORI «3D» E LA GUERRA DEI CERVELLI

Come in Italia, anche in Corea del Sud i lavoratori stranieri fanno i mestieri più umili: operai, pulitori, manovali. Quel tipo di lavori che gli americani chiamano 3d, cioè «dirty, difficult and dangerous», sporchi, difficili e pericolosi. Arrivano dal Pakistan, dall’Indonesia, dalla Mongolia, dal Vietnam, in cerca di vite migliori. Forza lavoro indispensabile per un Paese che è lepre nella tecnologia, ma lumaca nella demografia, con tassi di natalità tra i più bassi del mondo. Una popolazione di migranti cresciuta da 50 mila persone nel 1990 a più di mezzo milione. Come quello italiano, il governo coreano dichiara di fare il massimo per sostenere questa gente nella fatica della propria condizione, dall’assistenza sanitaria alla cura dei figli.
Non la pensano così gli interessati, che notano come il sistema sia congegnato in modo tale da impedire agli immigrati di mettere radici, invitando i familiari a raggiungerli. La massima permanenza consentita è di quattro anni e dieci mesi, mentre per ottenere la cittadinanza occorrono cinque anni. Inoltre gli stranieri possono cambiare azienda solo con il permesso del datore di lavoro, ciò che li mette in una posizione di permanente subalternità.
Il Paese resta comunque molto attraente per chi, come ad esempio i nepalesi, vede il proprio salario aumentare in Corea da 200 a 2.000 dollari al mese e in questo modo può permettersi di mandare i soldi alla propria famiglia che rimane in patria.
Questa gestione dei flussi migratori, finora, in Corea ha funzionato. Oggi che il Paese è diventato un big dell’high tech, con colossi globali del calibro di Samsung, il sistema però mostra i suoi limiti. Non sono soltanto i manovali che mancano ma, sempre di più, gli ingegneri, gli informatici e i tecnici, il personale qualificato che costituisce l’armata strategica nel confronto tra i Paesi.
Le somiglianze (relative) con l’Italia finiscono qui. Diversamente dal nostro Paese, la Corea sta studiando misure per attrarre lavoratori stranieri qualificati e rendere il Paese più competitivo nei servizi come lo è già da tempo nell’industria. In questa partita Seul deve vedersela con concorrenti come Singapore, che, per contrastare il calo di competitività riportato nel 2012, dopo il boom economico degli anni precedenti sta potenziando la qualità delle infrastrutture tecnologiche e investendo nell’istruzione.
Così ragiona l’Asia, il mondo con cui l’Europa e l’Italia devono fare i conti. Un pianeta che ci osserva con un’attenzione enormemente superiore a quella che noi riserviamo loro. L’ha detto, recentemente, a un convegno della Bocconi, il rettore della maggior università di Singapore. Quando ha affermato, senza giri di parole: noi sappiamo molto di voi, conosciamo la vostra tecnologia, la vostra cultura, il vostro design. Al confronto voi dei nostri Paesi non sapete quasi niente. Eppure da studiare i ci sarebbe molto: a cominciare dal modo in cui crescita economica, competitività e contratto sociale, sul pianeta Asia, coabitano.
Edoardo Segantini