Danilo Taino, CorrierEconomia 23/09/2013, 23 settembre 2013
AMERICA
& RIPRESA. BEN, UN BANCHIERE MENO CENTRALE - A Washington, le colombe volano sopra i colonnati massicci della Federal Reserve di Ben Bernanke. Per ora hanno vinto la loro battaglia contro i falchi: mercoledì scorso, il comitato che decide la politica monetaria della banca centrale americana ha sorpreso il mondo mantenendo in essere il programma straordinario — «non convenzionale» — di acquisto di titoli sui mercati per 85 miliardi di dollari al mese. Economisti e investitori erano certi che la riduzione degli acquisti sarebbe iniziata già in ottobre: non sarà così, le colombe favorevoli a stimolare il più possibile l’economia affannata degli Stati Uniti hanno avuto la meglio. Il guaio è che non sempre portano nel becco buone notizie. La situazione, infatti, adesso è diventata complicata.
Rinvii
Bernanke, che a maggio aveva fatto capire che la fase di riduzione graduale (tapering) delle misure non convenzionali sarebbe iniziata in autunno e completata attorno alla metà del 2014, ha spiegato di non essere andato avanti su quella linea perché l’economia è più debole di quanto sembrasse, l’occupazione fatica a crescere e al Congresso si prepara uno scontro tra il presidente Barack Obama e i repubblicani — sul bilancio 2014 e sui limiti del debito pubblico — che potrebbe turbare chi deve investire.
Ha dunque ritenuto saggio continuare a stimolare l’economia immettendo denaro attraverso appunto l’acquisto di dosi massicce di titoli. In sostanza, se a maggio aveva fatto pensare che la Grande Crisi fosse in fase finale, ora ha detto che no, non è ancora il momento: la banca centrale non può tornare a una politica monetaria normale perché la situazione rimane non normale.
Prima considerazione: Bernanke e la Fed hanno fatto un pasticcio. Prima hanno messo in agitazione gli investitori che, credendo a un prossimo irrigidimento della politica monetaria, hanno spostato capitali verso gli Stati Uniti in attesa di tassi d’interesse di mercato in crescita: infatti i tassi sono aumentati. Ciò ha provocato massicce uscite di denaro da India, Turchia, Brasile, Indonesia e ha fatto parlare di crisi dei Paesi emergenti. Poi hanno dato il contrordine.
I mercati hanno dovuto cambiare strategie all’improvviso. Soprattutto, i protagonisti dell’economia sono rimasti al buio: non sanno quando il tapering inizierà. In una fase in cui le banche centrali dicono di contare molto sulla forward guidance — cioè a influenzare i mercati dicendo prima cosa faranno dopo — non è un gran risultato. Forse da Washington dovrebbero dare un’occhiata a come la forward guidance è stata usata altrove, ad esempio dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi l’anno scorso, quando disse che avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare l’euro: se si indica una direzione, non si vacilla. In gioco c’è la credibilità delle mosse future. Può darsi si sia trattato solo di difetti di comunicazione. Vedremo. Il problema è che c’è dell’altro.
Errori
La seconda considerazione da fare, infatti, è che a questo punto la Fed non sembra avere il polso della situazione economica. Negli anni scorsi ha regolarmente sbagliato, sopravvalutandole, le prospettive di crescita: e lo stesso ha fatto non più tardi della primavera scorsa quando ha annunciato il tapering.
Non è una questione da niente: chiama in causa l’efficacia stessa delle misure straordinarie di stimolo. Hanno davvero aiutato l’economia? I difensori della Fed dicono che, senza esse, le cose sarebbero andate peggio: ragione per cui Bernanke fa bene a non sbarazzarsene. Il dubbio, però, sta prendendo piede. Anche perché se le politiche di stimolo funzionano poco, i rischi che si portano dietro — creazione di bolle e distorsioni del funzionamento dei mercati — forse non vale la pena correrli. E qui si arriva alla terza considerazione, la più preoccupante.
Cosa succede ora? Come si è visto, l’uscita dalla politica non convenzionale è un’operazione molto delicata: se non è condotta con il timone stabile, confonde le aspettative e crea flussi di capitali destabilizzanti. Al momento, i mercati sono lasciati nell’incertezza e anche quando Bernanke parlerà la sua non sarà una voce da oracolo com’era stata finora. Ma non solo. Sarà lui a iniziare il processo di tapering oppure a questo punto lascerà il compito sulle spalle di chi gli succederà alla guida della Fed, dalla fine di gennaio? Nel secondo caso, l’incertezza aumenterebbe ancora: la mente del presidente della Fed in carica è abbastanza conosciuta, anche se la settimana scorsa ha sorpreso; quella di chi arriverà dopo è tutta da scoprire. Il fatto è che tornare alla normalità si deve, prima o poi. Adesso, nonostante le colombe nel cielo, è più complicato di una settimana fa.
Danilo Taino