Sergio Bocconi, CorrierEconomia 23/09/2013, 23 settembre 2013
MEDIOBANCA. NON CHIAMATECI PIU’ SALOTTO
La rivoluzione è appena cominciata e i prossimi passi sono imminenti. È facile prevederlo anche dopo le dichiarazioni di Alberto Nagel. Nei giorni scorsi l’amministratore delegato di Mediobanca, presentando i conti dell’istituto contrassegnati da 400 milioni di svalutazioni nel portafoglio azionario, ha confermato l’uscita dai patti di sindacato in scadenza per rientrare nella piena disponibilità delle quote apportate, ha raccomandato a Generali di uscire dall’accordo parasociale di Piazzetta Cuccia per il quale si profila un rinnovo ai «minimi» storici in quanto a quota di capitale vincolata, e ha detto che le partecipazioni incrociate sono un’eredità del passato e oggi non corrispondono al miglior modo di allocare il capitale.
La scadenza
La prossima puntata riguarda proprio la stessa Mediobanca. Lunedì 30 settembre scade il periodo a disposizione dei soci per presentare le disdette dal patto di sindacato dell’istituto. Unipol, che ha ereditato da Fonsai il 3,83% e deve venderlo per impegni Antitrust, è già stata autorizzata a uscire e dismettere la partecipazione. Il perimetro vincolato è dunque già nei fatti sceso dal 42,03% al 38,19%. È altamente probabile, nonostante a Trieste siano ufficialmente ancora in corso valutazioni sul punto, che anche il Leone comunichi lo svincolo del proprio 2%. Ed è possibile che decida per il disimpegno qualche altro componente il gruppo B dei soci industriali: Carlo Pesenti, che con Italmobiliare ha il 2,6%, giovedì ha detto che «i patti non hanno più ragione d’essere, compreso quello di Mediobanca». E anche in questo caso sulla permanenza o meno nell’accordo parasociale di Piazzetta Cuccia sono in corso «valutazioni».
L’accordo che governa sulla banca d’affari potrebbe dunque scendere a una quota compresa fra il 36 e il 33%%. Percentuale che non comporterà problemi «tecnici»: il rinnovo è automatico con il 30% e nessun azionista, in particolare il principale, Unicredit con l’8,6%, acquisirà poteri di «veto» dato che l’assemblea del patto delibera con maggioranza pari a due terzi delle azioni.
Il fatto che l’accordo parasociale permanga dipende ovviamente dalla volontà degli azionisti che ne fanno parte. Però la quota di capitale vincolata è in progressiva riduzione da tempo, processo guardato con favore dal management perché libera flottante favorendo l’ingresso di investitori istituzionali italiani ed esteri. Il patto, sottoscritto per la prima volta nel 1955 ed esteso ai soci esteri nel 1958, dal 1988, cioè dalla «privatizzazione» di Mediobanca, fino al 2002 ha «blindato» metà del capitale. Nel 2003, dopo l’ingresso dei francesi guidati da Vincent Bolloré, il perimetro sale al 56,72%, percentuale che nel 2004, dopo alcuni aggiustamenti passa al 55,4%. Da allora il patto «dimagrisce»: nel 2007 scende al 47,9% grazie a disdette fra le quali Fiat e Telecom, quindi progressivamente si arriva alla quota attuale.
La possibile uscita di Generali avrebbe il significato anche, come ha detto Nagel, di cancellare una partecipazione incrociata, un tempo consuetudine come dimostra il fatto che soglia dell’accordo di Piazzetta Cuccia (superata in pochi casi) è al 2%.
Ora, la view del management nei confronti di incroci, correlazioni e patto, insieme alla volontà di ridurre il portafoglio partecipazioni (negli ultimi anno sono state realizzate cessioni per 3,5 miliardi e altre per 1,5 sono previste nel piano triennale) vanno nella direzione di rendere più trasparente Mediobanca per i mercati internazionali nell’esercizio e nello sviluppo del proprio core business di banca d’affari. L’istituto è nato con la sola partecipazione nella società che possedeva il suo immobile ma lo statuto consente l’acquisizione di interessenze azionarie già dal 1949. E dai bilanci si può verificare dal 1955 la presenza di un piccolo drappello di titoli di proprietà (pacchetti di Montecatini o Fondiaria Vita e Incendio). La consistenza delle partecipazioni cresce anche per «vocazione» negli anni Settanta ma in seguito assume, soprattutto con Generali, volumi che rendono configurabile Mediobanca come una holding. Le dismissioni con la conseguente liberazione di capitale tendono quindi a recuperare l’originaria identità della banca d’affari.
L’onda lunga
Le conseguenze non sono solo «interne». L’uscita dai patti, passo preliminare necessario per le eventuali dismissioni, è destinato a riflettersi su diverse partite. In questi giorni si gioca quella Telco-Telecom e Piazzetta Cuccia, in sintonia con gli altri soci italiani, ha già dichiarato di voler metter fine allo status quo e comunicato la volontà di disinvestire. Per quanto riguarda poi Rcs Mediagroup, editore del Corriere della Sera, l’istituto (socio con poco meno del 15%) ha sì aderito pro-quota, ma ha però ribadito la volontà di svincolare la partecipazione dal patto in scadenza nel marzo 2014 e le cui disdette vanno comunicate entro fine ottobre. Per la successiva uscita dal capitale, considerata anche l’entità della quota, la gradualità sarà d’obbligo e i tempi non potranno che essere lunghi (in assenza di colpi di scena) ma anche in questo caso la rotta di Mediobanca appare definita.
E sembra possa andare nella stessa direzione riguardo al patto Pirelli, nei mesi scorsi rinnovato solo per un anno. Sebbene da prevedere più in là nel tempo è infine già deciso l’alleggerimento di circa 3 punti della quota in Generali, oggi pari al 13,2%, opzione che appare a questo punto indipendente da impegni regolatori. Il pacchetto, in origine pari al 5% e successivamente portato al 14%, resta strategico, tanto è vero che Nagel ha confermato di attendersi che Generali, dopo il cambio di management, riprenda ad apportare un «contributo positivo significativo» all’istituto.
Sergio Bocconi