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 2013  settembre 23 Lunedì calendario

TEATRO VALLE OCCUPATO PER IL «BENE COMUNE»

Se tornasse George Orwell, sarebbe colpito dall’impudica «neo-lingua» corrente che chiama il Teatro Valle di Roma occupato «bene comune» anziché bene sottratto alla comunità. Se tornasse Luigi Pirandello e volesse replicare la sua prima di Sei personaggi in cerca d’autore al Valle nel ’21, dovrebbe forse chiedere il permesso ai commissari politici che si sono insediati con la forza nel prestigioso teatro romano e che senza alcuna legittimità si sono ribattezzati «Fondazione Teatro Valle Bene Comune», reclamando addirittura il riconoscimento giuridico di una sopraffazione di fatto.
Il Valle è di proprietà del Comune, che da 27 mesi paga regolarmente le bollette, queste sì finanziate dalla collettività dei contribuenti, ma non può disporre di un bene occupato da una minoranza di cittadini che rappresentano solo se stessi. Gli occupanti, che ora vorrebbero nobilitarsi con la sigla di una Fondazione governata da uno statuto redatto non si sa da chi e soprattutto a quale titolo, in compenso non hanno pagato alla Siae i contributi dovuti. Hanno un concetto molto elastico del rispetto della legge, invocato per gli altri, ma deliberatamente ignorato per se stesso e per la propria «constituency» politico-amicale. E non hanno nemmeno partorito in tutti questi mesi qualche brillante idea teatrale, uno spettacolo che avrebbe calamitato la cittadinanza, convinto le autorità, riempito la città di arte e di cultura. Niente di niente. Proclami, i soliti. Retorica, la solita. E soprattutto porte sbarrate a chiunque fosse in disaccordo, a chiunque avesse idee diverse, a chiunque osasse discutere l’occupazione di un bene comune, un ruolo usurpato che adesso si vorrebbe formalizzare con il solito lessico magniloquente e vuoto, residuo caricaturale del passato, lontano da ogni originalità artistica e letteraria.
In tutti questi mesi si è addensato attorno alle sorti del Valle un colossale equivoco. Si è gridato all’allarme privatizzazione. E non era vero. Si è dipinta come lotta generosa a difesa della cultura contro il vile mercato la solita pantomima della mobilitazione per una buona causa. Molte persone che si erano avvicinate incuriosite da questo esperimento si sono via via allontanate, lasciando campo libero al solito nucleo di militanti irriducibili. Anche gli artisti che avevano affiancato l’occupazione sperando di trovare un grande palcoscenico hanno lasciato il Valle al suo destino. Le autorità comunali non hanno spinto le loro obiezioni oltre una certa soglia polemica, per conservare il quieto vivere e per non apparire loschi paladini del vituperato profitto a svantaggio dell’Arte disinteressata venerata dagli occupanti del «bene comune». Oggi un teatro, che è anche un bene storico tutelato dalle leggi, viene messo sotto tutela di una «Fondazione» i cui promotori compiono un atto di arbitrio contro tutti gli altri cittadini impossibilitati a dire la loro. Un atto di prepotenza, un male comune.
Pierluigi Battista