Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 23 Lunedì calendario

AMICIZIA TRA CANE E GATTO? IN CASA E’ POSSIBILE (ED E’ L’UNICA CONSIGLIATA)

Voglio partire con una storia antica e molto istruttiva. I pastori d’Abruzzo avevano, e ancora hanno, quei bianchi lanosi cagnoni che ben conosciamo a far da sentinella alle greggi, pronti a scattare minacciando e, se era il caso, mordendo e lottando con uomini e lupi. Era una guardia estenuante e senza fine.
Per fortuna però l’uomo spesso affiancava a quei saggi ponderati guardiani un aiutante, direi quasi una sveglia esplosiva: un volpino locale, detto «pomacchio» o «pumetto», nomignoli nostrani derivanti da Pomerania, patria del suo più nobile parente, il volpino, appunto, di Pomerania. Si trattava d’un cagnolino tutto pepe: se messo a fianco di quei cagnoni era senz’altro lui a sentire ogni rumore, a percepire ogni parvenza d’allarme e a partire abbaiando. Una sveglia sempre carica che dava tranquillità a quei cani da pecora abruzzesi, che potevano così permettersi qualche rilassata dormitina, con accanto quel demonio che tutto sentiva.
La storia, come ho detto, è assai istruttiva. Quasi un elogio alla biodiversità delle attitudini canine: mettete insieme due personaggi diversi, uno piccolo sempre in allarme e uno grande che poi «mena» e il gioco è fatto. È così che il gruppo funziona, con vantaggio di tutti: i cagnoni, i cagnolini, le pecore e pure il pastore. Un esempio bellissimo, quasi didattico.
Veniamo ora a un caso più moderno, che stavolta riguarda non due razze ma due specie domestiche: il cane e il gatto. Secondo tradizione acerrimi nemici. Ma sarà cosi? È vero, c’è l’antico detto «andar d’accordo come cani e gatti», ma vi racconto una storia che per anni mi ha coinvolto. Quando scendevo per far fare la passeggiata al mio cane Orso spesso c’era, lì intorno, un gatto di nome Mascarin. E i casi erano due. Se non fuggiva allora Orso s’accontentava di girargli intorno scodinzolando incerto. Se invece Mascarin decideva di correre ad arrampicarsi su un albero, Orso scattava e lo inseguiva abbaiando. Il gatto lo rimirava dall’alto, poi Orso si stufava e il gatto se ne tornava giù.
Ebbene, per comprendere il comportamento dei due compari occorre sapere che i gatti di città, che spesso conducono una vita monotona priva di stimoli, sviluppano una propensione alla fuga anche per le cause più insignificanti. Diciamo che «se la vanno a cercare» e il pretesto sono spesso i cani. Il conflitto sarebbe pertanto una sceneggiata, che serve a entrambi: il gatto si scarica fuggendo e il cane sfoga il suo istinto di predatore.
D’altronde, come è noto, cani e gatti spesso diventano amici. Giocano tra loro e sanno pure farsi compagnia. Se li si alleva insieme fin da cuccioli, è facile ottenere questi sodalizi inattesi. E li definisco così perché in natura sarebbe tutta un’altra storia: là il predatore di maggior stazza se appena può toglie di mezzo quello più piccolo, che è contemporaneamente un suo competitore e una possibile preda.
L’inimicizia tra cane e gatto, insomma, ha origini antiche, perché appartiene alla storia naturale. Con l’addomesticamento però i rapporti sono in parte migliorati. Anche in natura, tuttavia, ogni tanto avvengono fatti strani, come per esempio certe adozioni di giovani prede da parte dei loro tradizionali predatori. Non molto tempo fa fece notizia la leonessa che si prendeva cura di giovani antilopi. E un altro caso ben noto è poi quello delle puzzole e dei loro derivati domestici, i furetti, che talora adottano proprio neonati delle loro prede preferite, i conigli selvatici. Il fatto è che i cuccioli e i pulcini possiedono i cosiddetti «segnali infantili», che non solo possono inibire l’aggressività predatoria ma evocano addirittura queste anomale adozioni interspecifiche.
Un’altra famosa coppia di «nemici storici» sono il gatto e il topo. E anche su questa c’è qualcosa da imparare. Si sa che perché un gatto diventi un cacciatore di topi, occorre che fin da giovane mamma gatta gli impartisca una serie di lezioni accompagnate da esercitazioni pratiche. Per fare invece compiere a un gatto il passo innaturale verso l’amore murino occorre qualcosa di più e cioè far crescere insieme fin da giovani nel periodo sensibile dell’imprinting la preda e il predatore. Ci sarebbe anche, volendo, una strada alternativa: quella cioè di una mamma gatta che, precocemente, abbia perso i suoi gattini. Sarebbe in questo caso così motivata all’adozione da accontentarsi persino del fascino discreto dei segnali infantili murini. E lo stesso potrebbe accadere a una gatta nella condizione, non infrequente, di aver appena terminato una pseudogravidanza.
Insomma, in stato di domesticità (i selvatici lasciamoli fuori), talora succede che specie diverse instaurino sodalizi che parrebbero impossibili. Ne ho conosciuti tanti oltre ai già citati: per esempio quelli tra conigli e porcellini d’India, tra topolini e criceti, tra ratti domestici (anche questi ormai esistono) e gatti. E poi, fin dall’antichità, ricordo la tradizione di mettere una capretta a far compagnia a un cavallo. Soprattutto se si tratta d’un cavallo costretto a starsene rinchiuso da solo. Fa un po’ sorridere perché sembra quasi un anomalo trattamento di pet therapy dove la capra diviene la terapia per ovviare alla solitudine del povero cavallo. Se ci pensate però, quando son loro a scegliere i cavalli stanno con i cavalli e le capre con altre capre. Credo dunque che, al di là della convivenza di due razze della stessa specie (fantastico il caso del cane abruzzese col «pometto») e dei frequentissimi rapporti d’amicizia tra cane e gatto, altri tentativi di coesistenza più o meno forzata, seppur realizzabili, di norma non sarebbero da incoraggiare troppo.
La coabitazione fra quattro mura di diverse specie domestiche richiede da parte dei padroni molta conoscenza, equilibrio, attenzione e cautela. Penso sia meglio, in molti casi, lasciar perdere certe improbabili convivenze, che rischiano di soddisfare noi ma di arrecare disagio agli animali.
Danilo Mainardi