Carlo Vulpio, la Lettura (Corriere della Sera) 22/09/2013, 22 settembre 2013
«NUOTARE»: LEZIONI DI STILE E DI LIBERTA’. IL FINALE? LA VOGLIA DI FARSI UN BAGNO
Appena conclusa la lettura di un libro, è possibile avvertire l’irresistibile voglia di fare esattamente ciò che quel libro racconta, raccomanda, approfondisce, analizza? Sì, è possibile. A qualcuno è successo almeno due volte.
La prima volta, dopo aver finito L’arte di correre di Murakami Haruki, c’è stato chi ha messo le scarpette e ha corso per dieci chilometri, euforico e leggero, sentendosi lui, Murakami, e facendo propri i suoi pensieri e le sue sensazioni. La seconda volta è stata appena terminata l’ultima pagina di Nuotare. Perché amiamo l’acqua di Lynn Sherr. Quel lettore di Murakami e poi di Sherr non ha resistito. Non poteva resistere, dopo ciò che aveva letto. E si è tuffato nella prima insenatura di acqua verde e blu che ha incrociato costeggiando le rive del Mediterraneo. E come per la corsa, anzi ancora meglio rispetto alla corsa, ha ripetuto l’esercizio, portare dentro di sé il libro di Sherr e nuotare pensando a tutte le cose che lei ha scritto e alle quali lui non aveva mai pensato quando si trovava in acqua. Prima fra tutte, l’assenza di gravità, e con essa l’assenza di ogni altro pensiero che non fosse quello di una respirazione regolare, «che è il soffio vitale del nuoto, senza il quale si annega».
Lynn Sherr è una giornalista americana che per trent’anni ha lavorato per Abc News e che da almeno altri trenta nuota per il piacere di farlo, perché nel nuoto ha trovato un punto di equilibrio essenziale per la sua vita. È, insomma, una di quelle persone che attraverso lo sport cercano il wellness, il benessere psicofisico — tutto il contrario del fitness, che è prestazione, ansia, e ansia da prestazione —, ma Lynn Sherr, col tempo, è anche diventata una di quei «dilettanti» che vanno per i sette mari a fare gare non competitive in stretti, baie, fiumi, canali e che ha scritto Nuotare dopo aver compiuto l’impresa della vita: attraversare a nuoto (sei chilometri e mezzo di acque profonde disturbate da correnti molto capricciose) lo stretto dei Dardanelli, il mitologico Ellesponto, il mare che separa/unisce Europa e Asia e che Leandro solcava a nuoto ogni notte per andare a far l’amore con la sua Ero e poi tornare a casa.
Il libro di Sherr non è un manuale salutista né una guida di tecnica natatoria, ma è un testo di storia (del nuoto) e di filosofia (di vita), che per questa ragione non poteva non cominciare, e finire, con la mitologia greca, la madre di ogni storia e di ogni filosofia. In mezzo, un mare (appunto) di storie, nomi, riflessioni, curiosità, avvenimenti, tutti accomunati dall’acqua, ora come elemento primordiale e assoluto, ora come materia connettiva onnipresente, si tratti della grande piscina da duecentocinquanta metri fatta costruire nel I secolo avanti Cristo da Erode il Grande a Gerico, oppure della punizione che, secondo una certa tradizione orale, sarebbe stata escogitata per le streghe in alternativa al rogo: le si gettava in acqua e «se nuotavano o galleggiavano erano considerate colpevoli e messe a morte, se affondavano morivano ugualmente».
Uno dei primi ad attraversare a nuoto l’Ellesponto fu, nel 1810, il poeta George Gordon, alias Lord Byron, al quale Lynn Sherr non manca di tributare il giusto merito, poiché le parole del poeta — «Mi vanto di questo risultato più di quanto possa mai fare per qualsiasi successo politico, poetico o retorico» — furono la consacrazione «umanistica» che al nuoto ancora mancava. Ma non bastarono a togliergli quell’aura di aristocraticità e di discriminazione che avrebbe portato il nuoto, ancora ai nostri giorni, a non annoverare un solo campione mondiale dalla pelle nera. Non ce ne sono. Abbiamo un presidente nero al governo della prima potenza mondiale, ma non abbiamo ancora avuto un nero campione mondiale di nuoto. E di sicuro i neri non sono meno «atleti» dei bianchi. In alcune pagine molto belle, Lynn Sherr trova una spiegazione nell’America degli anni Cinquanta, che vuole sì insegnare a tutti il nuoto — avviando una vera e propria campagna statale — ma a patto che ciò avvenga in piscine separate, bianchi da una parte neri dall’altra. Con la conseguenza che nei bianchi si è fatta strada la convinzione che i neri non sono portati per il nuoto, mentre i neri considerano questo uno sport per «fighetti bianchi». E Byron? Non è solo, in questo libro, a perorare la causa del nuoto. Con lui, c’è anche un altro grande della poesia, Walt Whitman («Ora voglio che tu divenga un nuotatore audace») e persino il grande neurologo e scrittore Oliver Sacks, che a 77 anni continua a coltivare «la sana euforia» del nuoto, perché, dice, ogni volta impara «la plasticità del cervello umano, la possibilità di insegnare nuovi giochi a un cane vecchio». Nuotare è, infine, anche un libro di storia del costume, e del «costume» per eccellenza, il bikini. Andate a recuperare una famosa canzonetta del 1960, Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini, di Brian Hyland, e capirete perché Brigitte Bardot fece la fortuna del bikini, e viceversa, e perché Nuotare è anche un libro molto divertente.
Carlo Vulpio