Serena Danna, la Lettura (Corriere della Sera) 22/09/2013, 22 settembre 2013
STROZZA LE BANCHE, STROZZERAI I TIRANNI
Nel 2005 la Corea del Nord dà il via libera a una supervisione internazionale delle sue attività nucleari in cambio di aiuti economici. L’accordo — firmato con Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e Corea del Sud — arriva dopo mesi molto difficili per la diplomazia internazionale: all’inizio dell’anno il regime di Pyongyang aveva ammesso per la prima volta la produzione di armi nucleari con finalità di autodifesa e riacceso il reattore di Yongbyon. I media di tutto il mondo seguirono la vicenda, ma in pochi, all’epoca, conoscevano la vera ragione della rabbia nordcoreana: la «Section 311» del Patriot Act, la legge federale antiterrorismo nata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 per rafforzare i corpi di polizia e di spionaggio americani. La sezione 311 della legge autorizza il dipartimento del Tesoro americano a marchiare — in caso di accertamento del reato — qualsiasi banca nel mondo come «finalizzata al riciclaggio di denaro» e a bloccarne gli affari con le banche americane. La disposizione, che è stata applicata decine di volte da allora, fa parte di una complessa strategia messa in atto dagli uomini del Tesoro per contrastare il terrorismo attraverso le armi della finanza e dell’economia.
A capo degli «architetti» della nuova guerra al terrore, c’era Juan C. Zarate, fondatore dell’Executive Office of Terrorist Financing and Financial Crimes del dipartimento, diventato nel 2005 consigliere personale per la sicurezza nazionale di George W. Bush. Zarate, che oggi lavora al Center for Strategic and International Studies, ha svelato nel volume Treasury’s War, appena uscito negli Stati Uniti con PublicAffairs, i retroscena e i risultati della strategia.
Zarate, può raccontarci dunque come andò la crisi nordcoreana nel 2005?
«Gli ufficiali del Tesoro americano avevano scoperto che il regime di Kim Jong-il era direttamente coinvolto in traffici di droga e contraffazione attraverso il Banco Delta Asia di Macao con la complicità della Cina, cui appartiene l’ex territorio portoghese. La banca fu immediatamente isolata dalla rete bancaria internazionale: furono bloccate tutte le attività con gli Usa e congelati fondi e conti in collaborazione con altre banche. Così facendo, fu il regime stesso a essere isolato nelle transazioni mondiali. E’ stata la prima volta in cui la Corea del Nord ha chiamato la Casa Bianca e il dipartimento di Stato per parlare. Mai prima di allora, nella storia recente, Pyongyang era scesa a un tale compromesso: la "lettera scarlatta" del Tesoro era più dannosa di una dichiarazione di guerra».
Nel libro scrive che in quell’occasione ci fu uno scontro tra i vertici di Pechino e la Banca popolare cinese, la sua banca centrale. Come mai?
«A un certo punto una banca privata cinese intervenne per sbloccare i 25 milioni di dollari del Banco Delta congelati dal dipartimento del Tesoro. Il governo di Pechino era favorevole, ma i funzionari della banca centrale si ribellarono sostenendo che una collaborazione con Pyongyang avrebbe determinato la fine delle partnership commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina. Le ragioni finanziarie ebbero la meglio su quelle politiche. A volte parlare con gli amministratori delegati delle banche si rivela più importante che dialogare con i funzionari di Stato».
Definisce la «madre di tutte le inchieste finanziarie» svolte dal dipartimento di Stato quella che ha riguardato il patrimonio dell’ex dittatore iracheno Saddam Hussein. Perché?
«Al pari di un qualsiasi truffatore, Saddam Hussein aveva messo in piedi un complesso sistema di deleghe, scatole cinesi, compagnie di copertura, nonché aperto un numero spropositato di conti bancari per nascondere l’entità del suo patrimonio e le attività illecite. Con un attacco congiunto a tutti gli istituti di credito fuori dai confini dell’Iraq coinvolti nei suoi affari, siamo riusciti a restituire il denaro al popolo iracheno, il vero proprietario».
Lei sostiene che è grazie al vostro intervento se Russia e Cina hanno cambiato atteggiamento nei confronti della comunità internazionale.
«Il coinvolgimento attivo dei due Paesi nella Financial Action Task Force (un organismo intergovernativo che si occupa di strategie di lotta al riciclaggio dei capitali di origine illecita e, dal 2001, anche di prevenzione del finanziamento al terrorismo, ndr) è dovuto all’attacco finanziario a opera dall’Executive Office of Terrorist Financing and Financial Crimes».
In «Treasury’s War» si parla anche dello scandalo «Swift»: nel 2006 il «New York Times» rivelò che il governo americano aveva accesso all’intero database del consorzio interbancario Swift (con sede in Belgio) in nome della lotta al terrorismo. Scopriamo dunque che era parte della vostra strategia...
«In realtà quello fu un esempio virtuoso di cooperazione tra il dipartimento del Tesoro americano e i governi europei. L’accesso ai dati Swift, non certo il controllo, era necessario per monitorare le transazioni finanziarie e scovare gli illeciti.
Perché il sistema funzioni è necessaria la collaborazione degli Stati, che vuole dire anche avere un set di regole e limiti comuni. Stiamo assistendo in questi anni alla creazione di un sistema finanziario parallelo sempre più smarcato dall’Occidente. La Cina e la Russia hanno tutto l’interesse perché questo avvenga. E sta succedendo: il Venezuela, per esempio, si sta rendendo sempre più indipendente dalla rete mondiale».
Crede che l’amministrazione Obama stia continuando in maniera soddisfacente la strategia «bushiana» del dipartimento del Tesoro?
«In generale direi di sì. Il presidente Obama è in continuità con George W. Bush per quanto riguarda tutta la macchina di prevenzione e attacco per la sicurezza nazionale. Certo, a volte mi chiedo come mai non siano intervenuti prima con la Siria. Siamo arrivati sull’orlo di un conflitto militare quando si poteva intervenire, ad esempio, sulle banche russe che finanziano gli accordi finalizzati all’acquisto di missili per il regime di Assad. Questo tipo di operazioni non richiede il mandato delle Nazioni Unite, né quello del Congresso: non capisco perché non siano state realizzate.
Durante la mia esperienza al Tesoro ho capito che solo l’incontro tra interessi privati e interessi nazionali può effettivamente creare un sistema capace di disincentivare le azioni criminali. Oggi tutte le grandi banche, colpite anche dalla crisi del 2008, sanno che è troppo rischioso, benché remunerativo, fare affari fuori dai confini della legalità».
Tra i nemici degli Stati Uniti c’è l’organizzazione terroristica Al Qaeda. Qual è lo stato di salute economica dell’organizzazione? Le strategie di contrasto del dipartimento hanno funzionato negli ultimi anni e hanno chance di funzionare ancora?
«Di positivo c’è che Al Qaeda ha una ramificazione che punta molto sul locale: i business sono facilmente individuabili. Anche grazie a questo il network sunnita ha subito un grave ridimensionamento dopo l’11 settembre. Tuttavia negli ultimi tempi, grazie a un interessante incrocio tra business locali arcaici e nuove opportunità offerte dalla tecnologia, pensiamo alla moneta virtuale Bitcoin, sta ritornando. E la Siria rappresenta senza dubbio un Paese ideale per riorganizzarsi».
Serena Danna