Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 22/09/2013, 22 settembre 2013
LA MAPPA DEI CANTIERI DELLA CULTURA: «I MUSEI ITALIANI? COPINO L’IKEA» —
Ci sono i soldi per il progetto della Grande Brera, a Milano, e quelli per il restauro della piccola Cattedrale di Mormanno, in Calabria, danneggiata da uno dei tanti terremoti che scuotono la nostra terra. C’è uno stanziamento per la Reggia di Caserta che, in attesa di decidere se è più bella di Versailles oppure no, ha bisogno di soldi per rifarsi la facciata e salvare la faccia di una Nazione intera. E altri fondi per chi ne ha ancora più bisogno, L’Aquila, dove la terra non ha solo tremato ma ha tirato giù tutto. E dove riaprire il Castello, il Teatro comunale e le vecchie mura ridarebbe un cuore a una città che dopo il terremoto ha dovuto trasferire lo struscio nel vicino centro commerciale.
Sfogliare le tabelle dei «Cantieri cultura 2013», i lavori in corso del ministero dei Beni culturali, è un po’ come partire per il Grand Tour, il viaggio di formazione che un tempo facevano i giovani dell’aristocrazia europea. Monumenti famosi e tesori nascosti: il Pantheon di Roma e il Castello di Copertino, Piazza Armerina con i suoi mosaici e il Museo Archeologico di Vigevano. In tutto 700 cantieri aperti o almeno finanziati che disegnano una cartina diversa dell’Italia. Una serie di punti uniti dalla stessa linea, l’idea che per ridare fiato a un Paese in affanno si debba puntare proprio sui nostri monumenti, sul nostro paesaggio, su quell’industria che nessuna concorrenza cinese (e nessuna delocalizzazione italiana) potrà mai distruggere.
Per una volta c’è una buona notizia: le risorse a disposizione per il 2013 ammontano a 590 milioni di euro, più del triplo rispetto ai 175 milioni del 2012. Non un miracolo ma il risultato di un lungo lavoro sui fondi europei, gli unici che si possono avere, benedetti e subito, senza tagliare da qualche altra parte e senza aumentare imposte, accise e via tassando. I fondi europei coprono più della metà degli interventi finanziati quest’anno. Il resto si divide fra i soldi che il Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, ha destinato alla ricostruzione dell’Abruzzo, quelli arrivati con il decreto valore Cultura, gli incassi del Lotto e qualche altra voce. «L’incremento dei fondi è un segnale importante per il nostro Paese — dice il ministro per i Beni culturali Massimo Bray — e sono convinto che bisogna fare ancora di più». È stato proprio il suo dicastero a sbloccare quelle risorse, con progetti per 111 milioni di euro banditi entro il mese di settembre. «I beni culturali — dice ancora il ministro — sono beni comuni e come tali vanno letti e difesi». E «se lo Stato ha, assieme agli enti locali, il dovere di tutelare il patrimonio e fare il massimo sforzo per valorizzarlo, questo non esclude che i privati possano contribuire all’impresa, secondo regole chiare che stiamo valutando».
Fondi pubblici, fondi privati: è questo il problema. Se i 590 milioni del 2013 sono il triplo di quelli dell’anno scorso e per questo siamo tutti contenti, bisogna riconoscere che non bastano di certo per un patrimonio sterminato e ridotto maluccio come il nostro. In fin dei conti si tratta della stessa somma che abbiamo speso per l’ultimo censimento dell’Istat o per il recupero della Costa Concordia. Tanto in termini assoluti, poco se si pensa che il turismo e i beni culturali dovrebbero essere la strada maestra per trovare la famosa ripresa. Forse bisogna ragionare al contrario: oltre che un costo per il loro mantenimento, i nostri monumenti sono una risorsa, perché possono creare lavoro e ricchezza. Ma in questo siamo parecchio indietro. «A livello internazionale ogni euro investito nella valorizzazione dei beni culturali ne produce 16 in termini di impatto economico» dice Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano che a questi temi dedica molta della sua attività. «In sei anni quei 590 milioni di euro potrebbero quindi portare ricadute complessive, turismo compreso, per 9 miliardi di euro e 140 mila posti di lavoro l’anno». Nove miliardi, il doppio di quello che serve per cancellare l’Imu sulla prima casa. E 140 mila posti di lavoro, più di quelli che si spera di creare con il bonus per l’assunzione dei giovani. Una bella fetta di quella ripresa di cui tanto si parla. Il guaio è che al momento per ogni euro investito creiamo molto meno di quei 16 euro che riescono a raggiungere altrove. Perché? Ancora il professor Noci: «In Italia c’è una visione elitaria della cultura, consideriamo i musei roba per addetti ai lavori. Così i visitatori calano, gli incassi pure e alla fine i nostri tesori diventano a rischio». Da esperto di marketing, Noci fa un paragone che lui stesso definisce «irriverente ma calzante: il modello dovrebbe essere Ikea». Ikea? «Sì, da loro non si va solo per comprare i mobili ma anche perché c’è il ristorante, ci sono i giochi per i bambini e tanto altro ancora. Ed è proprio grazie a queste esperienze di contorno che sono diventati i primi nel loro core business, i mobili. Nei nostri musei, per i bambini, al massimo c’è il prezzo ridotto».
Se il paragone con l’Ikea è irriverente, va ricordato che il turismo è in crescita a livello mondiale. E noi restiamo sempre in cima alla lista dei desideri, specie dei Paesi emergenti e dei nuovi ricchi. Eppure Dubai si prepara alla fine del petrolio costruendo quello che sarà il museo più grande del mondo. Mentre noi, che pure non facciamo parte dell’Opec, d’inverno chiudiamo il Colosseo alle quattro e mezza del pomeriggio. Sempre che non ci sia sciopero.
Lorenzo Salvia