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 2013  settembre 22 Domenica calendario

IL KENYA NUOVO CAMPO DI BATTAGLIA PER GLI SHEBAB E LE CELLULE QAEDISTE

Il Kenya incarna tre posizioni: attore regionale importante, bersaglio dei terroristi, terreno fertile per l’estremismo. Componenti che si mescolano alla crisi nella vicina Somalia, alimentata da violenze settarie, radicalismo, povertà. E per questo paga un alto prezzo. Il Paese è considerato un nemico dai gruppi di ispirazione qaedista per il suo allineamento con gli occidentali, la storica amicizia con Israele, l’intervento nel conflitto somalo. Ciò spiega la lunga storia di attacchi avvenuti sul territorio. Nell’agosto del 1998 militanti di Al Qaeda fanno saltare per aria l’ambasciata Usa a Nairobi. Una delle prime azioni «spettacolari» dei fedeli di Osama. Poi, nel 2002, il duplice attentato contro un hotel frequentato da turisti israeliani e un jet El Al, mancato però dal missile Sam 7. Altra operazione pianificata da elementi stranieri. La guerra civile in Somalia, con l’allargarsi dell’attività del movimento islamista degli Shebab, ha fornito nuovo materiale umano. Un contagio progressivo che ha investito il Kenya, dove è cresciuta l’opera di proselitismo nel Nordest, sulla costa e nella stessa capitale. Il flusso di profughi somali si è portato dietro non solo miseria ma anche estremismo. Il quartiere Eastleigh di Nairobi, ribattezzato la «piccola Mogadiscio», e Mombasa hanno fatto da incubatori per il terrore. Gli Shebab si sono inventati una branca kenyota affidando la linea di comando a sheikh locali e favorito l’arrivo di «volontari» occidentali, yemeniti e nordafricani. Hanno fatto notizia le ricerche della britannica Samantha Lethwaite, moglie di uno degli attentatori suicidi di Londra (2005), trasformatasi in una vedova nera e del tedesco Ahmed Khaled Mueller, entrambi considerati complici di attività clandestine. Proiezione esterna della colonia straniera stabilitasi nelle regioni in mano agli Shebab. Il confronto con gli islamisti somali, che nel frattempo hanno annunciato la loro fedeltà al marchio Al Qaeda, si è inasprito nell’ottobre del 2011. Il Kenya ha lanciato diverse incursioni nel Sud della Somalia per contrastare gli estremisti ed ha collaborato con l’attività delle intelligence occidentali. La ritorsione delle «bandiere nere» è arrivata con una serie di piccoli attentati (contro chiese, locali) e tentativi di colpi clamorosi. Tra i bersagli i centri commerciali, luoghi frequentati da stranieri. Quei target con poche difese indicati dagli ideologi di Al Qaeda e spesso teatro di attacchi. Ieri, via Twitter, i militanti somali inneggiavano alla strage di Nairobi paragonandola a quella all’hotel di Mumbai, nel novembre 2008. La minaccia per il Kenya è rappresentata da un tridente. Primo. Le «colonne» Shebab, con guerriglieri infiltratisi in Kenya. L’ultimo allarme risaliva al 27 agosto. Secondo. Le cellule che hanno come riferimento Al Hajira, l’ex «Centro giovanile musulmano» che collabora con i somali. Terzo. Eventuali gruppi di fuoco qaedisti. Per gli osservatori gli Shebab hanno anche cercato di dimostrare di essere vivi e letali nonostante le difficoltà emerse nel 2013, stretti tra faide e pressione militare. Uno sforzo accompagnato da continui moniti al Kenya e a quei Paesi — come la Tanzania, punita con un massacro nel 2010 — accusati di essere ostili al partito islamico. Nairobi ha fronteggiato gli estremisti con durezza, alcuni capi, a cominciare dall’influente Aboud Rogo Mohamed, sono stati uccisi in circostanze fumose. Una strategia che non ha impedito al veleno sprigionato dalla guerra somala di portarsi via altre vite. Gli Shebab hanno avvisato che è il «campo di battaglia è ora in Kenya».
Guido Olimpio