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 2013  settembre 23 Lunedì calendario

GUTGELD, DA ISRAELE A MONTECITORIO “ECCO LE RICETTE DELLA RENZINOMICS”

Roma «A luglio 2012 un amico mi ha presentato Matteo Renzi, che stava partendo con la sua campagna per le primarie, e ne è nato un rapporto molto intenso di collaborazione. Sei mesi dopo, ero a Siviglia con la famiglia per le vacanze di fine anno, Renzi mi ha chiamato: “Ti vuoi candidare?”, ho guardato mia moglie, che ha annuito, e ho detto sì». Da McKinsey a Montecitorio via Abruzzo, Yoram Gutgeld è stato eletto lì. Nessuna esperienza politica ma in Parlamento ha cominciato a farsi sentire. Sull’abolizione dell’Imu sulla prima casa: «Sbagliata. Bisogna alzare la quota di esenzione ma non cancellare l’imposta, chi ha immobili di pregio è bene che faccia la sua parte, quelle risorse è meglio metterle altrove». La sua battaglia la fa nella Commissione Finanze dove ha trovato un alleato nell’economista e parlamentare del pd Marco Causi. «Mi piacerebbe che il Pd incidesse di più sulle politiche economiche del governo, in Commissione abbiamo cominciato un processo, ora vedremo». La politica gli piace «quella delle idee e del fare, quella dei posizionamenti e delle correnti non mi interessa». Ma ci sono cose che ancora non capisce: «Il fatto che Daniela Santanchè, che è nella Commissione Finanze, si è presentata il primo giorno e poi mai più, e pretende di essere vice-presidente della Camera lo trovo inconcepibile». Gutgeld è nato in Israele nel 1959 da una famiglia di ebrei polacchi,
una famiglia di imprenditori delle costruzioni, con il bisnonno membro del Parlamento di Varsavia. Nel ’39, allo scoppio della guerra, metà è fuggita in Israele, dove il padre è diventato un avvocato di fama che contava tra i suoi clienti anche Moshe Dayan, e l’altra metà è stata cancellata nel Ghetto di Varsavia e nei forni di Auschwitz. Università, con lauree in filosofia e matematica a Gerusalemme, e servizio militare in Israele (selezionato nella mitica Unit 8200, quella dei cervelloni, ha poi scelto di stare in un reparto normale per evitare cinque anni di servizio richiesti dalla Unit 8200). Poi California University a Los Angeles, filosofia e business questa volta. Ma non voleva vivere in America. «Sono venuto in Italia per uno stage estivo da McKinsey e ci sono rimasto». In Italia e in McKinsey, per 24 anni, fino a marzo del 2013, diventando senior partner e direttore, responsabile tra le altre cose della grande distribuzione a livello europeo e aprendo e dirigendo gli uffici di McKinsey in Israele. «Quell’anno siamo entrati in sei, tra i quali Vittorio Colao (oggi numero uno di Vodafone, ndr), con il quale siamo cresciuti e diventati partner insieme». «Sono italiano per scelta e per amore» dice, dove l’amore è per la moglie, milanese di origine molisana, con la quale ha avuto due figli, oggi tra la scuola media e il liceo. Altri amori la corsa, almeno quattro volte a settimana, e la musica con 2 mila dischi in fila sugli scaffali e un passato lontano da recensore di musica classica. Quanto alla scelta «l’Italia è un paese con un potenziale pazzesco, se sta in piedi così malgestito immaginiamo cosa potrebbe fare se fosse gestito almeno decentemente». E perché sia gestita decentemente Gutgeld ha un piano, che sorridendo (le formule sono i tic dei consulenti internazionali) definisce «1+(4x30)». Un piano da realizzare in cinque anni, una legislatura, quella che prima o poi verrà. ‘1’ è la priorità delle priorità: rimettere soldi in tasca a chi ne guadagna troppo pochi, subito, per dare sollievo a chi è in difficoltà e far ripartire i consumi interni. Abbassando seriamente le aliquote per chi guadagna fino a 2 mila euro al mese o giù di lì. Per il primo anno i soldi si trovano vendendo patrimonio dello Stato: «Cedendo le case popolari a prezzi convenienti per gli acquirenti e quotando per esempio Poste e Fs. La Germania ha privatizzato Deutscheposte - dice - che è diventata un gigante multinazionale della logistica, possiamo cominciare anche noi con la quotazione». Per gli anni successivi i soldi necessari alla riduzione delle tasse per i redditi più bassi, per creare lavoro e rilanciare lo sviluppo dovrebbero venire dal ‘4x30’. Vediamo di cosa si tratta: «Ridurre la spesa pubblica di 30 miliardi in cinque anni; spostare 30 dei 70 miliardi che ogni anno lo Stato destina a investimenti e trasferimenti finalizzandoli alla realizzazione di piccole opere, quelle che creano più lavoro e fanno da volano alla crescita; recuperare, sempre nei 5 anni, 30 miliardi di evasione fiscale (tra i ministri del passato la persona che stima di più è Vincenzo Visco); trasformare in servizi 30 dei quasi 350 miliardi che gli l’Inps distribuisce in assegni». Sulla spending review Gutgeld propone un metodo. «Essendo riuscito a ridurre da consulente del governo di Tel Aviv la spesa della difesa israeliana, la più efficiente del mondo, credo di sapere come si fa». La sua ricetta è organizzata in cinque punti: «Il primo anno si deve studiare, elaborare un piano e condividerlo con le strutture. Un commissario può coordinare, ma il lavoro va fatto dentro i ministeri e richiede coinvolgimento. Il secondo punto è che si devono elaborare piani industriali dettagliati. Il terzo è procedere con leggi a ‘kilometro 0’, non si va da nessuna parte con leggi delega, alle quali seguono decreti legislativi, ai quali seguono regolamenti attuativi, ai quali seguono regolarmente contenziosi con i Tar, il Consiglio di Stato e la Corte Costituzionale: una volta fatto un piano esecutivo serio si deve partire subito con ‘leggi autoapplicative’ che non abbiano bisogno di passaggi ulteriori. Quarto, gli obiettivi devono essere misurabili e trasparenti, con un responsabile preciso, e non devono essere solo di taglio di costi ma anche di qualità dei servizi. Infine ci vuole un po’ di meritocrazia nella pubblica amministrazione, bisogna ragionare con i sindacati e individuare un modo trasparente e corretto di premiare i meritevoli». Poi c’è tutto il resto, che Gutgeld sta mettendo in ordine in un libro che uscirà in novembre per i tipi della Rizzoli. C’è la creazione di un’industria del venture capital per le start up e l’innovazione, con l’utilizzo in una prima fase di matching fund pubblici (se il mercato crede in un progetto e lo finanzia per una certa cifra, lo Stato ci mette altrettanto); un grande piano nazionale per il turismo; la revisione della formazione e dei servizi per l’impiego; il rafforzamento dei fondi di garanzia per il finanziamento delle piccole e medie imprese. Il lavoro è un punto chiave. «Oggi nella realtà c’è solo il precariato, dobbiamo impegnarci per creare un’alternativa che potrebbe essere quella delle tutele progressive. E poi ci sono i centri per l’impiego che in Italia intermediano solo l’1 per cento del rapporto tra domanda e offerta di lavoro, mentre il mercato vero si muove solo attraverso le conoscenze. Nel Regno Unito arrivano al 20 per cento e noi dobbiamo darci quell’obiettivo. Infine la formazione e la riqualificazione, ci sono richieste di lavoro per decine di migliaia di unità che rimangono inevase perché non trovano persone che abbiano la formazione giusta per quello che serve ad artigiani e imprese, è uno spreco colossale al quale si deve porre rimedio». E’ un programma di governo. E’ quello del governo Renzi? «Sono idee mie, dovrà decidere Renzi ovviamente. Finora siamo stati in sintonia».