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 2013  settembre 23 Lunedì calendario

IL LINGOTTO GIOCA AL POLO DEL LUSSO

Nel 2003, l’anno prima che Sergio Marchionne prendesse il comando in Fiat, il gruppo, unico costruttore italiano rimasto, produsse ancora nel paese 1.026.000 automobili. Poco più di un decennio prima aveva toccato i 2 milioni. In casa loro costruivano più automobili di Fiat, al 2003, soltanto i tradizionali giganti europei del settore: Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, ciascuno dei quali contava più di un costruttore. N el 2012, secondo i dati dell’Associazione europea dei costruttori d’auto (presieduta da Marchionne), la Fiat ha prodotto in Italia 397.000 vetture. Molto di più hanno prodotto non solo i predetti giganti, ma anche il Belgio (507.000 vetture), la Repubblica Ceca (1.172.000), la Polonia (540.000), la Slovacchia (900.000). Da quinta che era in Europa (per tacere di quando era seconda o terza), la Fiat come costruttore di automobili è ora diventata la nona. Più disarmanti ancora sono i dati della produzione di autoveicoli (vetture più furgoncini) per 1.000 abitanti. In questa classifica stacca tutti la Slovacchia (popolazione 5,4 milioni), con 167 veicoli per mille abitanti. Seguono la Repubblica Ceca (10,5 milioni) con 112 veicoli sempre per mille abitanti, manco a dirlo la Germania con 69, la Slovenia (2 milioni di abitanti) con 64, il Belgio (11 milioni) con 49. E l’Italia? Sui 17 paesi europei che producono auto, si colloca al quindicesimo posto, con 11 (undici) veicoli per mille abitanti. Il gruppo Fiat guidato da Marchionne ha conseguito nel mondo apprezzabili successi.
Ha acquisito Chrysler, storico terzo produttore americano; ha aumentato di molto la produzione in Brasile e in altri paesi extraeuropei. Tuttavia i numeri dicono che in Italia la Fiat ha conosciuto un declino mai visto in ogni altro paese europeo. Perfino l’iper-finanziarizzato e de-industrializzato Regno Unito nel 2012 ha prodotto quasi un milione e mezzo di vetture. Per cui i posti di lavoro nella produzione diretta e indiretta di auto si sono mantenuti o sono cresciuti altrove, mentre in Italia solo il gigantesco e pluriennale uso della cassa integrazione da parte del gruppo Fiat ne ha finora mascherato il crollo. Stando a recenti dichiarazioni, l’ad Fiat scorge sicure possibilità di rilancio nello sviluppo a Torino di un polo delle auto di lusso. E’ certo un gran bel mercato, dominato da produttori europei. Audi, Bmw e Mercedes hanno venduto l’altro anno nel mondo 4,3 milioni di vetture. Ad esse si può aggiungere la Porsche, cui l’ad Fiat sembra pure guardare, con le sue 135.000 auto sportive e suv l’anno (da 80.000 a oltre 100.000 euro al pezzo). I dirigenti Fiat devono aver notato che il numero di ricchi nel mondo (e in Italia) sta crescendo, e se i meno abbienti (il cui numero sta pure aumentando) comprano meno auto, si può accrescere il fatturato costruendo auto che non solo hanno un prezzo cinque volte più alto della media, ma sulle quali il guadagno per unità è maggiore. Domanda: sarà possibile per Fiat affermarsi su tale mercato globale, al punto da poter rilanciare l’occupazione collegata alla produzione automobilistica in Italia, perché ciò è quello che ci preme, assai più delle fortune di Chrysler o di Fiat Brazil? Sebbene produrre auto e suv per i ricchi, invece che auto elettriche o verdi, o magari autobus per i comuni mortali, di per sé non appaia entusiasmante, auguriamo al Lingotto un buon successo nel lanciare un polo del lusso. Però è lecito formulare al riguardo qualche dubbio. Anzitutto l’esperienza del gruppo Fiat nel produrre e vendere auto di lusso risiede solo nella Maserati, che non è nata a Grugliasco come qualcuno crede ma è stata trasferita nel torinese da Modena, con gran dispetto della cittadina emiliana. La Maserati vende 5-6.000 vetture l’anno. Per competere con la Porsche bisognerebbe produrne otto o dieci volte tante, mentre per affrontare con speranza di riuscita i tre colossi tedeschi e creare una quota significativa di posti di lavoro, la produzione annua di vetture competitive (dai contenuti tecnici e dal prezzo un po’ più bassi della Maserati) dovrebbe raggiungere le centinaia di migliaia. Come Fiat possa raggiungere tali obbiettivi in pochi anni, a fronte della necessaria trasformazione qualitativa della produzione, della filiera della componentistica, della rete di vendita e assistenza, non è facile scorgere. Un’ulteriore difficoltà deriva dal fatto che, in quanto operano nella gamma alta da decenni, i tre maggiori produttori tedeschi sono in grado di offrire una eccezionale quantità di modelli diversi. La Audi (Volkswagen) propone al mercato ben 45 modelli che coprono una vastissima gamma di prezzi, dimensioni e contenuti tecnici. Bmw e Mercedes hanno ciascuna in listino tra i 20 e i 25 modelli. Affrontare simili flotte con una gamma di 5 o 6 modelli, al fine di togliere loro quote tangibili di mercato, come Fiat sembra voler fare con il polo torinese del lusso, sembra un compito arduo da assolvere. Infine c’è da chiedersi se la dirigenza Fiat abbia letto con attenzione i rapporti sulle vendite recenti dei gruppi in questione. I brillanti risultati da essi conseguiti tra il 2010 e il 2012, con un balzo in avanti spettacoloso nell’ultimo anno, non sono affatto dovuti a un aumento delle vendite delle auto più grandi o dei suv - giusto quelle che Fiat pensa di produrre a Torino. Sono dovuti per la maggior parte alla vendita di auto piccole, con prezzi tra i 20 e i 25.000 euro, che delle maggiori consorelle hanno mantenuto non molto di più del marchio sul cofano e la elevata qualità d’insieme, ma fanno sentire al cliente di essere quasi al volante di un auto di lusso. La conclusione è che se i modelli e i volumi previsti a Mirafiori dal 2015 in poi avranno un ordine di grandezza delle decine di migliaia di unità, com’è ipotizzabile, anche se si tratta di auto che richiedono più ore di lavoro ma la robotizzazione avanza - l’occupazione Fiat nel torinese resterà, se tutto va bene, sui modesti livelli attuali. Mentre il destino degli altri stabilimenti italiani è forse segnato, perché quelle vetture di fascia medio-bassa ormai costa molto meno farle in Slovenia e negli altri nuovi mini-giganti dell’auto nell’Est europeo.