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 2013  settembre 21 Sabato calendario

PRECARI, CARO BOLLETTA E PENSIONI L’ALTRA FACCIA DEL BOOM TEDESCO

Sven Gaertner, è un assistente sociale di una onlus di Berlino che si batte per una missione precisa: il salva bollette. La settimana scorsa, racconta un servizio del New York Times, herr Gaertenr è riuscito a convincere in extremis l’addetto della Vestas a non tagliare i fili della luce ad Olav Taueber, un facchino che lavora con un contratto interinale e che, come molti connazionali, non ce la fa star dietro alle nuove tariffe: ogni famiglia tedesca spenderà quest’anno 275 euro per sostenere il passaggio all’energia verde, come vuole l’obiettivo di spegnere le centrali nucleari entro il 2020.
«Nei primi otto mesi del 2013 – spiega Gaertner – abbiamo aiutato 1.800 famiglie, 200 in più di tutto il 2012». Il governo ha stanziato 22,7 miliardi di euro per aiutare le famiglie “senza bolletta”. Sanno più di 40 miliardi nel 2020. È l’altra faccia del model Deutschland, il miracolo di stabilità e progresso nel cuore dell’Europa. Un piccolo, grande miracolo se si pensa che nel 2002 4,1 milioni di persone non avevano un lavoro. Oggi al contrario, i disoccupati sono 1,9 milioni. Dieci anni fa c’erano 39,3 milioni di occupati. Oggi, alla vigilia delle elezioni i lavoratori attivi sono 41,1 milioni. Ovvero la Germania ha saputo creare 2,5 milioni di posti nei dieci anni più difficili della recente storia europea. Ma, per completare il quadro, è doveroso prender atto che 140 mila tedeschi non dispongono di un’assicurazione sanitaria perché non sono in grado di pagare le rate della polizza obbligatoria. «Poche settimane prima che la cancelliera Merkel affermasse che la Germania doveva essere fiera dei suoi successi nel mercato del lavoro – ha scritto Die Zeit – il Bundestag ha approvato una legge che condona le quote arretrate non pagate a chi entro la fine dell’anno contrarrà una polizza sanitaria».
Insomma, la Germania s’affaccia al voto con uno stato di salute invidiabile, specie se visto da Sud. Ma non è stato un successo indolore. Certo, molte cifre giustificano l’invidia per la Panzer Economie: le casse dello Stato sono piene, la previdenza pubblica ha chiuso il 2012 con un surplus di 29 miliardi di euro, un miliardo di più della sanità. In regioni come l Baviera od il Baden Wuettemberg il problema delle imprese è di reperire la forza lavoro, mentre la disoccupazione quasi non esiste. Città come Lipsia, uscite dal socialismo reale in condizioni drammatiche, hanno ormai agganciato livelli di benessere occidentali, grazie anche agli investimenti di Bmw e Porsche.
Ma non è tutto oro quel che luccica. Come lascia sospettare una statistica inquietante: la Germania è, Lituania a parte, il Paese dell’Unione Europea ove sono più diffusi i redditi poveri. Un quarto dei lavoratori tedeschi guadagna meno dei due terzi del salario medio, ovvero il 24% dei dipendenti guadagna meno di 9,54 euro all’ora. Guadagna di meno l’87% dei tassisti e dei parrucchieri, il 77% dei camerieri e il 69% dei commessi dei negozi, il 625 degli addetti degli alberghi. Accanto ai record di una manifatturiera d’eccellenza, ai vertici mondiali della produttività, esiste perciò un’altra Germania che viaggia a scartamento ridotto. È l’effetto della riforma Hartz, dal nome dell’ex responsabile del personale Volkswagen chiamato al governo da Gerhard Schroeder. Le riforme di Hartz hanno hanno avuto il merito di far decollare l’occupazione ma, scrive Die Zeit, «la cura è stata eficace ma ha causato gravi effetti collaterali». Quali?
Nel 2002 i lavoratori interinali erano 310 mila. Dieci anni dopo erano saliti a 810mila. Di questo contratti, secondo le stime ufficiali, solo la metà corrisponde a nuovi post di lavoro. L’altra metà, cioè un contratto interinale su due, rimpiazza un posto di lavoro a tempo indeterminato. Nelle fabbriche il lavoratore interinale affianca spesso il lavoratore “normale”. Le differenze? Il salario inferiore (il 30-40% in meno), la precarietà (ogni contratto dura 3-6 mesi), i minori diritti. Dopo la riforma i contratti a tempo possono essere rinnvati all’infinito.
Altro elemento chiave della riforma sono stati i minijob. Si tratta di un lavoro pagato al massimo 450 euro al mese, con contributi previdenziali minimi. Nello spirito della rifoma i minijob dovevano rappresentare un primo passo o una situazione transitoria, un modo per uscire dalla disoccupazione in vista di tappe successive. Non è andata così. Oggi in Germania si contano 7,5 milioni di minijob, concentrati soprattutto nel commercio al dettaglio, nel settore pulizie o nella ristorazione. A questi, per completare il quadro, vanno aggiunti i lavoratori con un contratto “normale” (cresciuti rispetto a dieci anni fa) , ma part-time, assai numeroso visto che il numero di ore lavorate è, in media, di soli 1.397 ore all’anno. Insomma, il modello Germania ha tante virtù. Ma anche qualche vizio.