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 2013  settembre 21 Sabato calendario

LETTA SBAGLIA I CONTI

Enrico Letta ha ufficializzato ieri che l’Italia sfonderà - di 0,1 punti percentuali - l’obiettivo del 3% di rapporto deficit/pil al 31dicembre 2013, e ha dato tutta la colpa a Silvio Berlusconi (e forse un po’anche a Matteo Renzi). «L’interruzione della discesa dei tassi e la ripresa dell’instabilità politica», ha spiegato il premier in conferenza stampa, «pesa sui conti e sul deficit che è cresciuto rispetto alle stime al 3,1%». Dopo avere scaricato tutta su altri la responsabilità di un buco da 0,2 punti di Pil in appena 4 mesi e mezzo, Letta si è auto-lodato per i grandi progetti (molto futuri) che il governo ha: «I percorsi contenuto nel Def sono ambiziosi ma raggiungibili, a patto che ci sia la volontà e la stabilità politica. La volontà nostra c’è, è piena e totale e lo si è visto anche nel Cdm dove c’è stata una partecipazione corale e un impegno che mi conforta». Sembra assai facile governare così: se si ha successo, i meriti sono propri, se si fa flop, la responsabilità è sempre di qualcun altro.
Non è certo una novità della politica italiana vedere uomini politici abbondare in propaganda e rifilare ad altri sacchi di panzane. Fa un po’ effetto sentirlo fare da uno come Letta che ha sempre avuto l’aria del primo della classe. Però l’economia ha un grande vantaggio: è fatta di numeri, e quelli non si possono cambiare. Quelli che ci sono, perfino quelli inseriti dal premier nella sua nota di aggiornamento del Def, raccontano tutt’altra verità. E siccome nessun italiano ha scritto in testa “Jo Condor”, è meglio andarli a vedere.
La nota di aggiornamento presentata ieri corregge al ribasso e al rialzo le cifre inserite del Documento di economia e Finanza presentato da Mario Monti il 10 aprile 2013. Allora si prevedeva un rapporto deficit/Pil 2013 del 2,9%, ed è diventato del 3,1%. Allora si prevedeva un Pil nominale a fine anno di 1.573,233 miliardi di euro, ora si corregge al ribasso in 1.557,300 euro. Allora si prevedeva una spesa per interessi pari al 5,3% del Pil, ora si corregge al rialzo: 5,4% del Pil. La spesa per interessi è la sola voce che risente di quella «interruzione nella discesa dei tassi» e «instabilità politica» che secondo Letta sono la causa dello scostamento del deficit dal 2,9 al 3,1%. Siccome le percentuali crescono, ma il Pil scende, meglio andare a vedere le cifre assolute per capire. La spesa per interessi nominali 2013 immaginata da Monti era di 83 miliardi, 381 milioni e 349 mila euro. Quella ora riveduta da Letta sale a 84 miliardi, 94 milioni e 200 mila euro. Il maggiore costo per gli interessi dunque sarebbe di 712 milioni e 851 mila euro. Che non è affatto la cifra assoluta dello scostamento del deficit, come sostenuto impropriamente dal premier: rappresenta solo il 26,87% del nuovo buco nei conti pubblici. Il deficit nominale a fine 2013 previsto da Monti era infatti di 45.623.757.000 euro. Quello ora riveduto da Letta sale a 48.276.300.000 euro. Il buco complessivo – tutto maturato dal governo Letta – è dunque di 2.652.543.000 euro. Di questa cifra un quarto circa è dovuto alla maggiore spesa per interessi. Ma 1.939.692.000 milioni sono legati esclusivamente a quel che ha combinato il governo in carica. Dirà la sinistra: è colpa dell’Imu, è colpa del mancato aumento Iva da luglio... Dirà la destra: è colpa degli esodati, è colpa della cassa integrazione, dei precari della pubblica amministrazione assunti, etc... Sbagliano gli uni e gli altri: siccome nessuno di noi ha scritto in fronte “Jo Condor”, il responsabile unico di questo buco è il governo in carica guidato da Letta. Poi trovi al suo interno chi l’ha fatta così grossa. Non è colpa in sé né della cassa integrazione, né dei precari, né dell’Imu, né dell’Iva: ognuno di questi provvedimenti risultava coperto dal governo, che scriveva: per togliere 3 miliardi di tasse, prendo i soldi da questo o da quello. Ecco, la verità è proprio quella che avevamo sospettato noi di Libero leggendo con cura ogni provvedimento dell’esecutivo: quelle coperture erano quasi sempre irreali, bugiarde. Sono loro che hanno creato questo buco da 2,6 miliardi. Lo ha creato Letta con i suoi, non la vicenda processuale di Berlusconi e nemmeno la corsa di Renzi alla segreteria del Pd.
A guardare bene, più di un dubbio viene anche da quella sola somma che sulla carta si può attribuire alla instabilità politica: i 712,8 milioni di euro di maggiore spesa per interessi che Letta e Saccomanni hanno scritto nella nota di aggiornamento del Def. Da dove salta fuori quell’aumento? È davvero difficile capirlo. Nel documento di aprile Monti immagina una caduta dello spread fino a raggiungere i 250 punti a fine anno. Ieri lo spread Btp-Bund ha chiuso la giornata a 247 punti, perfino al di sotto di quella soglia. Durante il mese di agosto, quello che avrebbe creato «instabilità politica» al governo, lo spread non ha mai superato i 260 punti. Anzi. È proprio in questo mese che per la prima volta è tornato sotto i 250 punti, raggiungendo i livelli minimi dalla primavera 2011, prima che scoppiasse la tempesta sui mercati finanziari. Il 12 agosto ha raggiunto 245,5 punti, il livello più basso dei 24 mesi precedenti. Il 16 agosto ha toccato addirittura 230 punti. Il 4 luglio scorso invece, quando manco era stato fissato ancora in Cassazione il processo a Berlusconi, lo spread era a 290 punti. Il 25 giugno era 305 punti. Il giorno in cui Letta ha giurato nelle mani di Giorgio Napolitano lo spread era a 285 punti, 38 punti base più di ieri sera. Il giorno in cui ha ricevuto la maxi-fiducia dal Parlamento era sceso a 270 punti, 23 punti base più di ieri. Non solo: l’ultima asta di giugno dei Bot a 6 mesi ha fatto registrare un rendimento medio ponderato dell’1,1052%, la stessa asta a fine agosto ha portato quel rendimento allo 0,886%. L’ultima asta Btp a 5 anni di fine giugno ha dato un rendimento lordo del 3,47%, la stessa asta a fine agosto al 3,38%. Non c’è alcuna ragione dunque per avere inserito nel Def nemmeno quei 712,8 milioni di euro di maggiore spesa per interessi: spread e rendimenti dei titoli di Stato sono stati inferiori al trend precedente perfino quando non si sapeva se il governo sarebbe sopravvissuto o meno. Semmai i mercati hanno mostrato di essere pronti a stappare la bottiglia, in caso di caduta di questo governo.