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 2013  settembre 23 Lunedì calendario

SE IL TERRORE AFFONDA I PARADISI ESOTICI

C’ erano una volta i paradisi esotici, la via di fuga dalla routine, il sogno d’una spiaggia deserta ma a portata di volo diretto dove stemperare il grigiore invernale vagheggiando l’estate perenne. Poi arrivarono il terrorismo, la globalizzazione negativa, il declino economico dell’Occidente, e quegli scampoli di Eden si trasformarono in avamposti di guerre, teatri di scontri d’inciviltà, regolamenti di conti mai saldati con la Storia. Un incubo insomma che, almeno a leggere i bollettini ufficiali, scoraggerebbe anche i più temerari tra i cercatori di relax.

Così le immagini di Nairobi insanguinata dagli islamisti di al Shabaab raccontano, oltre all’incandescenza politica dell’Africa sub-sahariana, la fragilità di un paese imperniato sull’agricoltura e sul turismo che negli ultimi due anni ha visto i vacanzieri diminuire dell’8,8%, con picchi tra gli italiani (-10,4%) e gli inglesi (-17,7%). Un tempo protagonista delle riviste patinate per gli spettacolari safari e i resort in riva all’Oceano Indiano, il Kenya sconta oggi l’intervento militare in Somalia, che dal 2011 l’ha inquadrato nel mirino delle milizie, ma anche la prolungata crisi economica di quell’Europa da cui, ai tempi d’oro, proveniva il 43% dei visitatori.

L’incertezza del momento cambia l’identikit dei paradisi esotici ma anche quella di chi li frequenta. Le Maldive, per esempio, che per dieci anni hanno contato su un business turistico pari al 20-30% del prodotto interno lordo, hanno scoperto a loro spese l’impatto del golpe dello scorso anno su chi preparava la valigie. In pochi mesi, dopo la deposizione del presidente Mohamed Nasheed e gli scontri tra fazioni avversarie, le prenotazioni dal vecchio continente sono calate del 3,7% e quelle degli italiani, appassionatissimi delle isole di corallo, addirittura del 24%. In compenso sono arrivati i cinesi (+15,6%), gli arabi del Golfo (+50%) e gli indiani (+34%) che anche in Kenya ignorano la sicurezza. Viaggiatori di nuova generazione, altri rispetto a quell’Occidente non più amato dappertutto, avvezzi all’instabilità al punto da non temerla in ferie, Phileas Fogg multilingue che però, per ammissione del super manager Sim Mohamed Ibrahim, «spendono molto meno degli europei».

L’Egitto non ha più recuperato gli stranieri in fuga dalle piramidi dopo la rivoluzione del 2011, quando nel giro di qualche settimana si volatilizzarono 5 milioni di turisti. E a poco è valso l’afflusso dei sauditi nella valle di Luxor: il sontuoso tempio di Karnak vende un decimo dei 16 mila biglietti al giorno di due anni fa mentre gli scontri violentissimi di quest’estate hanno svuotato i resort di Sharm el Sheikh (operativi al 30% delle loro potenzialità) e ulteriormente dimezzato fino a 459 milioni di dollari il budget già magro del 2012.

Lo Yemen, al pari della Libia, non ha mai sognato un turismo che rendesse fino al 12% del pil come in Egitto a pieno regime. Ma i sequestri degli stranieri, l’offensiva di al Qaeda, la protesta contro l’ex presidente Saleh e il caos politico attuale, hanno gravato parecchio su quell’1-2% di ricchezza garantito dai visitatori dell’antico regno di Saba (nel 2010 resero un miliardo di dollari).

«Il turismo è un prodotto molto sensibile che non può crescere senza il 100% di stabilità e sicurezza» ripete dal ministero del turismo di Sana’a Omar Babelgheith rilevando però ottimisticamente un miglioramento tra i 780 milioni di dollari fruttati nel 2011 e gli 848 milioni del 2012. Di questi tempi anche una lievissima crescita è una notizia eccellente tra gli operatori turistici del mondo arabo terremotati dalle rivolte degli ultimi due anni, a cominciare da quelli libici che se non rimpiangono Gheddafi rimpiangono però i pur esigui 50 mila visitatori l’anno della meravigliosa quanto oggi deserta Leptis Magna. Perfino nella Giordania risparmiata, per ora, dalla scontro frontale tra il governo e la piazza, la crisi regionale ha messo in fuga i turisti al punto che i noleggiatori di cavalli all’entrata della Città Rosa hanno ridotto il prezzo della corsa da 12 a 5 dinari (5 euro).

Resta la Tanzania, un pezzo di paradiso recuperato all’inferno qaedista in cui il paese era precipitato dopo gli attentati del 1998. Secondo il ministero del turismo il trend 2011/2012 è in crescita, con un aumento di visitatori del 24%. Poi a leggere bene i bollettini ufficiali ci si ricorda dell’attentato di pochi mesi fa alla chiesa di San Giuseppe ad Arusha, il secondo in poche settimane, un campanello d’allarme per chi parte per le ferie e teme di ritrovarsi negli inferi. A meno di rinunciare a cercare l’Eden e accontentarsi del purgatorio.