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 2013  settembre 22 Domenica calendario

“OGNI MIO SCATTO È COME UNA DIAGNOSI”

Mario Testino, lei è un celebre fotografo di moda: in questi giorni si trova a Lima, in Perù, ma di solito vive a Londra. È così?

«Ho vissuto molti anni a Londra, ma oggi sono quasi sempre in giro per il mondo. Per i miei lavori devo viaggiare. Comunque ho creato un museo a Lima per fare delle mostre e anche per promuovere l’arte peruviana. In più torno a Lima per mia madre, che ha 90 anni e non ha mai voluto trasferirsi».

Lei si sente peruviano?

«Sono di origine ligure, mentre mia madre è metà spagnola e metà olandese, e io sono nato a Lima».

Dov’è il suo studio?

«Non ho uno studio vero e proprio, ho alcuni uffici: uno in Perù, uno a New York, uno a Londra. Ho un fratello che è il mio agente e che lavora a Parigi».

Leièmoltolegatoal«Vogue»americano e a «Vanity Fair»?

«Ho cominciato molti anni fa a Londra con “Harper’s&Queen” e poi ho lavorato ad “Harper’s Bazaar” negli Stati Uniti per tre anni e ormai sono a “Vogue” da 20 anni. Oltre al “Vogue” americano, lavoro per quello spagnolo e per quello inglese. Lavoro anche con gli altri “Vogue” in giro per il mondo, come quello cinese».

Lei è un famoso ritrattista: qual è il suo segreto?

«Mi piace fotografare le persone ed entrare nella loro vita: mi sento come un medico. Vedo tutto e faccio una diagnosi».

I suoi scatti di Lady Diana sono diventati famosi in tutto il mondo.

«Sì, lei è stata la prima della famiglia reale inglese a farsi fotografare da me».

Com’era Diana?

«Diana era una persona molto speciale: era una vera principessa, con una sua magia personale».

E Carlo e i suoi figli?

«Ho fotografato anche il principe Carlo: è un uomo moderno e infatti si è occupato prima di ogni altro di agricoltura biologica ed ecologia. I figli hanno preso il suo senso dell’umorismo. William è stato educato per diventare re e, quindi, è un po’ diverso da Henry, ma sono tutti e due molto simpatici».

E la regina?

«Una volta sono andato al Royal Ballet a Londra e ho fatto un po’ il paparazzo, nel senso che ho aspettato che uscisse la regina. L’ho fotografata da vicino, ma, non potendo parlarle, non posso dire di averla conosciuta».

Quali sono stati i personaggi che più l’hanno colpita?

«Fu Gianni Versace a chiedermi di fotografare Madonna ed è stato lui che mi ha dato il “via” nel mondo della moda. Poi, negli Anni 90, ho fatto con Tom Ford la campagna pubblicitaria per Gucci».

Lei chi ha scoperto?

«Posso dire di avere lanciato Gisele Bundchen».

Con quale macchina lei fotografa?

«Per me non è la macchina che conta, è l’idea. Conta soprattutto lo sguardo».

Chi è stato il suo maestro?

«A Londra ho lavorato in primo luogo con Lucinda Chambers e Patrick Kinmonth: sono stati i miei primi due “mentors”. Devo molto anche a Franca Sozzani, che mi ha insegnato che la fotografia non è solo arte, ma anche business e in più mi ha insegnato come muovermi nel mondo della moda. Poi devo molto ad Anna Wintour, la direttrice di “Vogue America”, che all’epoca era direttrice creativa. Ho imparato quanto siano diverse le mentalità: la Francia non è l’America, l’Italia non è l’Inghilterra. E poi ho lavorato con Carine Roitfeld, che ha diretto per molti anni “Vogue Paris”: mi ha insegnato a non avere paura di chi sono. Nel mondo della fotografia uno può creare le proprie immagini, ma lei mi ha insegnato a fare le “mie” fotografie».

E come sono le «sue» foto?

«Un miscuglio di cose, che confluiscono insieme. Sono un uomo solare: mi piace il mare, le feste, il sesso. Ma mi piace anche la tradizione, l’eleganza e la famiglia. Il mio è un miscuglio di colore, vita e tradizione. Ciò che mi piace delle mie foto è che non ci sono limiti».

Lei è molto diverso da Newton?

«Sì. Newton e io siamo scorpioni. E c’è anche il sesso nel nostro lavoro. Ma io non sono tedesco, sono latino. Per me una donna non dev’essere solo alla moda, ma anche molto classica. Dev’essere un po’ pazza, però a differenza di Newton non ho interessi sadomasochistici».

Chi sono i grandi fotografi?

«Tanti e pochi: Penn, Avedon e Newton. Tutti hanno il loro vocabolario. Della generazione successiva penso a Lindbergh, Weier, Meisel, Demarchelier. Ma oggi molti stilisti sono loro stessi fotografi, come Domenico Dolce o Karl Lagerfeld. La fotografia, oggi, è accessibile a tutti e il consumo è così veloce che non so nemmeno più se le foto debbano essere così curate come prima. Non si sa nemmeno se continueranno a esserci i cosiddetti “grandi fotografi”».

La fotografia è un’arte?

«Certo che è un arte, ma non tutti oggi hanno bisogno di una realtà così sofisticata. Ciò che è importante è la foto che documenta qualcosa o quella che crea e credo che questo tipo d’arte continuerà sempre».