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 2013  settembre 22 Domenica calendario

NON CI SONO BUONI E CATTIVI

Moltissimi italiani sono convinti che il risultato delle elezioni tedesche di oggi influenzerà immediatamente e sensibilmente la nostra politica economica.
Equindi, se vincerà l’attuale coalizione di governo, a livello europeo saremo trattati con maggiore severità. Se dovesse prevalere l’attuale opposizione, oppure materializzarsi una versione tedesca del governo delle larghe intese, ci sarebbe consentito lo sforamento del tetto del 3 per cento al nostro deficit e potremmo tranquillamente permetterci di confermare l’abolizione dell’Imu e di non aumentare l’Iva.

Qualcuno arriva a sperare che una maggioranza diversa consentirà alla Banca Centrale Europea una politica monetaria più accomodante con la creazione di liquidità se non proprio a livello americano o giapponese sicuramente sufficiente a consentire all’economia europea un’espansione ben più rapida della debole ripresa attuale.

È meglio non illudersi troppo. È molto probabile, invece, che, chiunque sia il prossimo vincitore, le cose non cambino in maniera apprezzabile nel breve periodo e cambino invece gradualmente in senso espansivo nel medio e lungo periodo. L’abitudine a dividere sommariamente i tedeschi in «buoni» e «cattivi» fa parte di un semplicismo dal quale possono venire illusioni e danni.

Per convincersi di questo è bene considerare che l’elettorato di riferimento del Partito socialdemocratico tedesco è rappresentato dai lavoratori dipendenti e in particolare dagli operai dell’industria. Il mondo del lavoro ha con gli imprenditori un rapporto dialettico e collaborativo da mezzo secolo e il successo di tale collaborazione è misurabile in salari reali sensibilmente più elevati di quelli italiani e in una disoccupazione pari all’incirca alla metà della nostra. Ebbene, i lavoratori dipendenti, e in particolare gli operai dell’industria tedesca, non sarebbero certo entusiasti di una politica europea che comportasse, a spese loro, consistenti aiuti ad altri Paesi senza una chiara prospettiva di restituzione. Prima di criticare dovremmo considerare che nessun lavoratore italiano farebbe salti gioia di fronte alla prospettiva di un aumento di imposte a favore della Grecia o del Portogallo.

Va aggiunto che il leader socialdemocratico, Peer Steinbrück non può essere considerato un grande amico dell’Italia: dopo il successo del M5S alle nostre recenti elezioni politiche fece commenti sprezzanti sull’importanza dei comici nella vita politica italiana che indussero il presidente Napolitano, in quei giorni in visita in Germania, ad annullare un incontro programmato con lui.

L’Italia riscuote maggiore simpatia presso Angela Merkel la quale non solo viene regolarmente in vacanza a Ischia ma ha anche lungamente ascoltato le opinioni del precedente presidente del Consiglio italiano sulle necessità di una politica più flessibile. Questi colloqui hanno contribuito a un atteggiamento tedesco più morbido verso i Paesi in deficit del quale hanno però beneficiato francesi e spagnoli: a Francia e Spagna l’Unione Europea ha concesso uno slittamento di due anni nel programma di rientro dal deficit pubblico mentre tale slittamento è stato negato proprio all’Italia.

Questo dovrebbe insegnare agli italiani che la politica economica europea si fa assai poco sulla base di simpatie e molto sulla base di parametri concreti. Per ottenere un analogo slittamento, l’Italia dovrà dimostrare che il rientro del deficit pubblico sotto il valore del 3 per cento del prodotto interno lordo è permanente e mostra un’ulteriore tendenza a scendere. L’ottimismo, poi rientrato, sul raggiungimento di quell’obiettivo non ha fatto certo bene alla reputazione italiana; vista da Berlino, l’ostinazione di una parte almeno della maggioranza a non procedere all’aumento già programmato dell’Iva appare quasi come il capriccio di un bambino piccolo per una caramella.

Qualsiasi cosa decidano gli elettori tedeschi, dalla Germania non proverrà alcuna soluzione miracolistica dei problemi italiani. Dovremo invece aspettarci in ogni caso la continuazione del «disgelo» tedesco verso l’Europa; per quanto a passi piccolissimi, la Germania ha detto sì al Fondo Salva Stati e all’Unione Bancaria. I tedeschi che vanno a votare oggi sono ormai in larga misura favorevoli all’euro (75 per cento secondo un recente sondaggio) e al federalismo europeo. Dicono no a quello che a loro sembra un Carnevale Europeo del Debito; probabilmente sono un po’ troppo rigidi ma qualche giustificazione ce l’hanno e in ogni caso con questa rigidità dobbiamo sicuramente fare i conti, chiunque sia il prossimo inquilino della Cancelleria di Berlino.