Fulvio Abbate, il Fatto Quotidiano 21/9/2013, 21 settembre 2013
FRANCA, UN CLASSICO COME AGATHA CHRISTIE
Franca Leosini è ormai ritenuta un “classico”, d’ogni palinsesto o plinto televisivo, dunque ben al di là di Rai3, che ne ospita da decenni l’opera omnia. Franca, a dirla con franchezza, sta alla televisione così come “My Way” (o, perché no, la Sinfonia n.9 di Beethoven) sta alla musica. L’ironia facile quando si tratta di lei, diciamocelo sempre più francamente, è davvero fuori luogo. E questo sebbene la signora Leosini sia teatralmente caratterizzata, al punto da fornire perfino spunti e combustibile comico a iosa perfino agli imitatori, Paola Cortellesi su tutti. Se il paragone non suonasse irrispettoso per lei e il suo talento, potremmo perfino aggiungere che Franca Leosini è la nostra Agatha Christie (ma anche un nostro nuovo Giorgio Scerbanenco), una narratrice in grado di far virare il rosa in nero, una geniale burattinaia pronta a far penzolare giù dal soffitto della camera degli spettri della cronaca ogni genere di squartatori e squartatrici, ora vittime ora carnefici.
Ugualmente, ogni sua parola suggerisce un habitat personale fiabesco, un grande arazzo, anzi, cento, mille “gobelins” napoletani, pronti a mostrare su filo del racconto le mille storie nere che sempre lei ha scelto di coltivare, narrare, scalettare. Franca, insomma, i suoi splendidi rei, più o meno confessi, va a trovarli fin dentro la gabbia del penitenziario dove questi ultimi sono tragicamente, meritatamente o meno, finiti.
UNA VOLTA LÌ, con l’orizzonte a sbarre sullo sfondo, Franca li fissa negli occhi, scuote la testa, li smentisce, li porta ad ammettere il dato di realtà, e intanto riepiloga loro ogni misfatto che li riguardi. Il pubblico a casa ascolta, ammira, pende dalle sue labbra, rapito, per un talento tutt’altro che retorico, per nulla manierato; il pubblico, nello stesso tempo, si chiede dove Franca abbia trovato la voglia di leggere tutti i faldoni che raccontano di storie giudiziarie infine dimenticate. Pensandoci bene, perfino l’idea di una Barbara Cartland divenuta carnivora è insufficiente per la prima firma di “Storie maledette”, adesso alle prese con la nuova serie di mascalzoni galeotti.
L’ultima, inquadra Luciana Cristallo, “un caso che fa giurisprudenza”, spiega Leosini. Una bella donna processata con l’accusa di aver ucciso l’ex marito, l’imprenditore Domenico Bruno. Luciana come specchio della buona borghesia calabrese, trapiantata a Roma. Il resto è da vedere e ascoltare. Muovendo possibilmente dai dettagli: i tratti del volto di Luciana, i gesti delle mani di Franca, la progressione del racconto, la penombra che suggerisce nuove ombre, il crescendo musicale che accompagna le foto tratte dall’album del matrimonio, il puntiglio dell’intervistatrice degna di un pubblico ministero, così fino all’acme del racconto del delitto. Nell’orrore di un mondo altrove trasfigurato in rotocalco, Franca Leosini ha il merito impagabile d’essere una macchina narrativa perfetta. Dimenticavo di dire che questa sera va in onda la seconda parte della storia di Luciana Cristallo, “L’ho ucciso, sono innocente”, il titolo.