Andy Mukherjee, La Stampa 21/9/2013, 21 settembre 2013
RAJAN, IL BANCHIERE INDIANO CHE SACRIFICA LA CRESCITA PER LA STABILITÀ DEI PREZZI
Raghuram Rajan, il nuovo numero uno della Bank of India, sembra voler diventare il Paul Volcker indiano. Nei primi anni ’80, la restrittiva politica monetaria dell’ex presidente della Federal Reserve condusse gli Stati Uniti verso la recessione ma riuscì anche a mettere un freno all’inflazione dilagante. Oggi, seguendo le orme di Volcker, Rajan ha innalzato il key policy rate dell’autorità monetaria indiana di 25 punti base. Per gli investitori è stato un vero choc. Infatti, sebbene l’inflazione sia piuttosto alta, attestandosi al 9,5%, la crescita del Pil si sta arrestando. Al netto della spesa pubblica, tra aprile e giugno, la domanda reale è aumentata solamente dell’1,4% rispetto allo scorso anno. Contrastare la stagflazione indiana con tassi d’interesse più elevati significherebbe un ulteriore sacrificio in termini di output. E a Mumbai, i mercati azionari hanno già perso il 3%. Ciononostante, l’attenzione della banca centrale per la stabilità dei prezzi è necessaria. In India, la miriade di sussidi statali rappresenta un fattore intrinsecamente inflattivo poiché comporta l’iniezione di liquidità nell’economia senza un corrispettivo aumento di produzione.
E così, in appena quattro mesi, il deficit di bilancio federale ha raggiunto il 63% dell’obiettivo previsto. È improbabile che i tagli alla spesa annunciati bastino a ridurre il deficit in un’economia afflitta da stagnazione. Vi è poi la difficile questione della rupia. A difesa di Rajan va detto che il governatore sta facendo di tutto per risolvere i problemi causati dal suo predecessore, Duvvuri Subbarao. Nonostante abbia incrementato il tasso di riferimento, Rajan è riuscito a tagliare di 75 punti base la penale che la banca centrale addebita agli istituti di credito a corto di liquidità che ricorrono a un prestito direttamente da essa. La decisione di Subbarao di aumentare il tasso di 200 punti base si è dimostrata inefficiente. Infatti, tra maggio e agosto, la rupia ha perso il 22% contro il dollaro. I tassi più alti hanno avuto come conseguenza un incremento dei costi di finanziamento delle banche per i mutui con prestiti e depositi a breve termine, riuscendo a tassare un sistema bancario già scricchiolante sotto una montagna di crediti inesigibili.