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 2013  settembre 21 Sabato calendario

SE IL MAXXI VALE CINQUE MILIONI E L’EGIZIO ZERO

Maxxi di Roma batte Egizio di Torino cinque milioni a zero. Di euro, naturalmente: a tanto ammonterà, se tutto andrà come pare, il finanziamento statale per il museo delle arti del XXI secolo presieduto da Giovanna Melandri.
Approvata in commissione su proposta del senatore Riccardo Villari (Pdl ex Pd), la dotazione va ora confermata dall’aula di Palazzo Madama. A tirare fuori la notizia è stata qualche giorno fa la senatrice a cinque stelle Barbara Lezzi, e qui e là s’è sollevata qualche protesta. Al ministero dicono - e lo hanno ripetuto ieri - che si tratta di un affarone perché negli ultimi tre anni il museo melandriano era costato una cifra compresa fra i sei e gli otto milioni, sborsati a consuntivo, cioè a pie’ di lista, che non era una grande trovata. Specialmente per un istituto destinato alla rivoluzione proprio con l’arrivo della Melandri, ex ministro della Cultura, nata a New York e di passaporto americano, tutte qualità che le avrebbero permesso di attirare sponsor a chilogrammi (il cosiddetto fund raising).

La novità è che i cinque milioni ora sarebbero stabilizzati: oltre quelli, al Maxxi non arriverebbe un quattrino. Non è che la precisazione abbia tranquillizzato tutti. A Torino, per esempio, sono piuttosto arrabbiati. E il primo esempio che si fa è proprio quello del Museo Egizio che da Roma non riceve un soldo. «Il Maxxi è l’unico museo statale di arte contemporanea, e con la certezza del finanziamento può programmare le proprie attività. Tutti i musei dello Stato hanno la certezza del finanziamento, anche in un periodo di ristrettezze», dice Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del ministero retto da Massimo Bray: altri musei, è implicito, non sono statali.

Effettivamente è così. Evelina Christillin, presidente dell’Egizio (le cui collezioni però appartengono allo Stato), si destreggia con abilità: «Noi non abbiamo mai chiesto un soldo per cui non c’è problema. Poi ci occupiamo di arte antica, mentre il Maxxi tratta arte contemporanea, sono due cose diverse. Sono molto contenta che l’80 per cento delle spese di gestione è coperto dai biglietti venduti, per cui camminiamo con le nostre gambe. Non dover chiedere è sempre motivo di orgoglio». Meno distaccato è l’assessore alla Cultura della Regione, Michele Coppola: «E’ una decisione incomprensibile, immotivata e che nega il rispetto dovuto al lavoro che altrove, in tutta Italia, facciamo ogni santo giorno fra mille sacrifici e difficoltà». Dal suo assessorato spediscono i dettagli: oltre all’Egizio, si fa il caso della Reggia di Venaria, a cui arriva un milione e mezzo, anziché i due pattuiti, e dopo che per qualche anno il Mibac si era scordato di spedire l’assegno. C’è poi il Salone internazionale del libro, che ha avuto centomila euro nel 2011 e poi più nulla, o il Museo del cinema, a cui competono 220 mila euro (più 530 mila per Torino Film Festival), o il Museo nazionale del Risorgimento – un ente morale – sostenuto con trentamila euro.

«Secondo me il discorso che il Maxxi è statale e altri musei no regge poco, perché la cultura è di tutti, e in Italia abbiamo un ricchezza che è patrimonio del mondo», dice la Christillin. E cioè: ridistribuiamo meglio le risorse e «secondo politiche non dico condivise, che sarebbe forse troppo complicato, ma almeno chiare e comunicate. Di modo che tutti si sappia perché e per chi si muovono i soldi». Coppola propone soluzione drastiche: «Stanziare cinque milioni di euro all’anno per il museo Maxxi, oltre ai costi di personale di cui il ministero si fa carico, è una scelta sbagliata: lo trasformino in una fondazione partecipata (così è per la Reggia di Venaria, ndr) e intervengano nei costi di funzionamento nella stessa misura con la quale finanziano gli altri musei italiani».

Il vero problema del ministero dei Beni culturali è che il progetto Maxxi è costato 180 milioni di euro e adesso va fatto girare, e i conti debbono quadrare. Malgrado i soldi scarseggino per tutti. Malgrado a inizio luglio il ministro Bray avesse consegnato alle Camere uno studio che era una geremiade, secondo cui il Mibac aveva debiti per quaranta milioni in «utenze e canoni» non pagati, cioè le bollette. E malgrado gli stessi studi illustrassero i tagli disastrosi cui si era costretti perché dal governo arrivano sempre meno soldi. E poi c’è la questione Melandri. Al ministero, dietro agli angoli, la spiegano così: «Tutto quello che riguarda lei viene strumentalizzato. Diventa tutta roba buona per fare polemica, come la storia dello stipendio. Siamo sicuri che se i cinque milioni fossero andati a un altro ente non sarebbe successo nulla. E’ brutto dirlo, ma dovremmo riflettere sull’utilità di un pur bravo presidente come la Melandri».