Melania Mazzucco, la Repubblica 22/9/2013, 22 settembre 2013
NELL’UMILIAZIONE DI NOÈ UBRIACO C’È UNA PIETÀ DI CRISTO ALLA ROVESCIA
Il vecchio giace disteso a terra nella vigna, la testa scomodamente posata su un sasso, le braccia scomposte nel sonno. Dorme, stordito dall’ebbrezza. Nella tazza scivolata in primo piano resta solo un dito di vino rosso. Un panno gli incornicia il corpo ma, per effetto della luce, proprio il colore di quello fa risaltare la sua bianchiccia nudità. Un grappolo di uva nera matura, i pampini e i tralci del filare, che quasi assedia il vecchio, sono tutto ciò che resta del paesaggio. Non c’è infatti spazio: le figure sono compresse nell’inquadratura stretta, come sospinte in avanti. Le loro mani formano un dinamico groviglio che li incatena l’uno all’altro e svela il loro legame. In posizione dominante, un uomo barbuto col ceffo da carnefice tenta di scostare il panno, ghignando scopre i denti. L’uomo a sinistra e il giovane a destra coprono pudicamente il sesso del vecchio. Riescono a celarlo agli spettatori. Ma l’uomo barbuto l’ha visto e i suoi occhi lo fissano ancora. Il figlio ride della nudità del padre.
Giovanni Bellini non ha quasi mai dipinto storie, né profane né religiose (o solo di malavoglia). Nulla dall’Antico Testamento. Ha dedicato le sue duecento tavole e tele all’adorazione triste della Madonna col Bambino, ai silenzi assorti di Sacre Conversazioni immerse in paesaggi simbolici, al dolore straziato degli angeli che sorreggono il Cristo Morto. Ha seminato santi sulle pale d’altare delle chiese di Venezia, paesaggi e allegorie per tradurre visivamente complessi messaggi mistici. Ha dipinto dozzine di vecchi. I solenni vecchi di Bellini sono formidabili come le sue celebrate Madonne. Sacerdoti con barbe a fuso, progenitori eroici e nudi come Giobbe, intellettuali immersi nella lettura come san Girolamo, notabili come Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, ruvidi apostoli come san Pietro, frati domenicani e sovrani laici come i dogi Barbarigo e Loredan. Eppure, anche se questo vecchio ricorda il Padre eterno e ha la barba bianca di Giobbe, non somiglia a nessuno di essi. E anche il quadro è solitario. Le opere di Bellini, elegiache, commoventi, chiedono meditazione e contemplazione, trasmettono malinconia, spiritualità, incanto. Questa, invece, sarcasmo e vergogna. E’ un’immagine spietata, senza misericordia. E’ il quadro di un vecchio, sulla vecchiaia.
Bellini lo ha dipinto intorno al 1515 — l’ultimo anno della sua vita. Ne aveva più di ottanta. Non era stato un genio precoce, anzi. Innovatore nella tradizione, aveva assimilato lentamente suggestioni di altri pittori (Mantegna, Piero della Francesca, Antonello da Messina) ed elaborato uno stile personale che fondeva ricchezza cromatica e limpidezza di forme solo intorno ai quarant’anni. Forse non per caso, solo dopo la morte del padre — Jacopo Bellini, pittore e capo della bottega in cui svolse il suo apprendistato col fratello Gentile. Aveva saputo guadagnare rispetto, ammirazione, e infine gloria, denaro, potere. Nel 1506 era ancora il migliore di Venezia, secondo Dürer. Poteva permettersi di rifiutare di lavorare sulle idee degli altri — fossero pure i marchesi di Mantova — e scegliersi da sé i soggetti, in cui “vagare a sua voglia” con la fantasia. Negli ultimi anni affrontò temi profani, per lui nuovi — perfino una donna nuda. Insomma, nel 1515 era finalmente libero.
Padre della pittura veneziana, regnava da più di quattro decenni (era pittore di stato dal 1484). I suoi figli di sangue erano già morti. Ma i suoi allievi e figli artistici scalpitavano: Tiziano, Sebastiano del Piombo, Lotto, erano ansiosi di prendere il suo posto. Chissà se qualcuno, per detronizzarlo, aveva sobillato il Fusco, professore e umanista che in versi lo diffamò come pederasta. Decrepito, amava ancora dipingere. Si guardava curiosamente attorno, avido di aggiornarsi e rinnovarsi. Il suo stile estremo era giovane.
Il soggetto del quadro — non si sa per chi dipinto e per quale scopo, e contesto — è La derisione di Noè. Narra la Genesi che il padre dell’umanità si inebriò e rimase nudo (nella tenda, abolita da Bellini), e il figlio Cam lo vide. I buoni figli Sem e Jafet lo coprirono col suo mantello e distolsero lo sguardo. Svegliandosi, Noè maledisse la stirpe di Cam, profetizzandone l’eterna schiavitù. Predicatori e teologi assegnavano allo sconcertante episodio un messaggio gerarchico. La società è come una famiglia. I figli (i sudditi) devono obbedienza e rispetto al Padre (qualunque cosa faccia). Identificavano nei figli di Cam i ribelli, gli eretici, i sovversivi. Il tema non aveva precedenti pittorici. Ma i veneziani lo conoscevano dai mosaici di San Marco e dalle sculture sulla facciata di Palazzo Ducale. Bellini — pittore colto — conosceva le implicazioni politiche della nudità di Noè e della derisione di Cam. Ma è altro che lo interessa.
Il corpo del vecchio è disteso in orizzontale sulla superficie del quadro. Come la Venere (di Dresda), che Giorgione (e Tiziano) avevano appena dipinto. Anche lei ha gli occhi chiusi, e si offre inerme al nostro desiderio. Ma Noè ha da offrire solo la sua carne pallida, flaccida, cascante. La barba folta e però incapace di vestirlo, un capezzolo grinzoso, membra inoffensive. L’umiliazione, la perdita di dignità. La bellezza di Noè è la miseria della carne. A differenza dei corpi dei figli, masse rifinite a larghe pennellate, quello del Padre è dipinto con sottili veli di colore e con la tecnica dello sfumato, in modo che sembra sfocarsi davanti ai nostri occhi. Ciò ci costringe a guardarlo più intensamente — a ripetere, in un certo senso, lo sguardo beffardo di Cam.
Allora questo strano quadro, un incubo evocato dai fumi del vino — tanto perturbante e alieno dal cliché di Bellini che fu per secoli assegnato ad altri, fra cui Tiziano — pare una dissacrazione. Della famiglia e della sua stessa pittura. Il pittore della stasi, del silenzio e della musica angelica conclude con una parabola amara piena di gesti e rumore. Nell’esegesi, la derisione di Noè prefigura quella di Cristo. Il quadro può essere letto come una Pietà alla rovescia. Al posto del Figlio morto, c’è il Padre. Al posto della Madonna c’è Cam. Al posto di Giovanni evangelista e Maddalena, i buoni figli di Noè. Nel mondo caotico e sovvertito, quale a ogni vecchio pare il proprio tempo, risuona la sconcia risata della gioventù. La vecchiaia, anche quella di un pittore che è ancora il re di Venezia, è questa irrimediabile fragilità di ossa e coscienza, questo appannamento smemorato, questo sonno inquieto nella penombra meridiana.