Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 22/9/2013, 22 settembre 2013
GUSTAVO DUDAMEL
Un pomeriggio d’estate al Parco della Musica di Roma. I musicisti di Santa Cecilia sono in prova. Risuonano le suggestioni della Terza Sinfonia di Schumann. Dirige Gustavo Dudamel, ospite dell’orchestra romana tra un impegno internazionale e l’altro. Trentadue anni, venezuelano, è considerato il massimo direttore della sua generazione. Vederlo lavorare è uno spettacolo. L’inquieta mobilità del corpo tende a frammentarsi in scatti repentini, saltella spinto da impulsi elastici e cadenzati, le braccia ondeggiano come nuotando nei suoni e ha una tendenza spassosa e gommosa a spalancare la bocca seguendo un proprio canto interno. Mezz’ora dopo, davanti a una tazzina di caffè, definirà il gesto direttoriale «qualcosa che viene stimolato dalla partitura, e non esistono presupposti teorici né norme oggettive per impararlo». Parole sacrileghe per una disciplina artistica fondata sul metodo e sul rigore. Gustavo le pronuncia con un’innocenza che sembra genuina. È un musicista unico nel suo genere, uno scugnizzo prestato al podio. Chissà quali zone di sé lo portano a un sentimento intimo ed esatto del tempo, al piglio che ha nel comando malgrado quella sua patina adolescenziale disarmante ed estranea a toni autoritari.
La chioma scoordinata rappresenta un’ulteriore anomalia: impossibile passare sotto silenzio il suo ammasso di riccioli sconnessi, lontano da qualsiasi assetto strategico. Una boscaglia. Ha un lato selvatico non filtrato dalle investiture ottenute nel mondo. Né, evidentemente, domato dal glamour hollywoodiano, essendo divenuto nel 2009 il direttore musicale della Filarmonica di Los Angeles, titolo tra i più ambiti nel circuito planetario della musica sinfonica. «È un’orchestra formidabile e ricca di tradizione», spiega. «Prima di me al suo vertice si sono avvicendati direttori come Zubin Mehta, Carlo Maria Giulini, André Previn e Esa Pekka-Salonen. Inoltre la città di Los Angeles ha una storia attraversata da grandiose correnti musicali. Vi hanno vissuto interpreti come Rubinstein e Heifetz, e geniali compositori, tra cui Schönberg, vi si trasferirono dall’Europa nel Novecento. Oggi disponiamo di una sede splendida, la Disney Hall, costruita da Frank Gehry. Lavoro a Los Angeles con i musicisti della Filarmonica per diciotto settimane l’anno e facciamo molte tournée. Tra noi si è stabilita una relazione profonda anche umanamente. Per me è essenziale l’aspetto umano. Se non c’è, la musica non può arrivare alle persone».
Da quando ha assunto l’incarico a Los Angeles, Dudamel abita in California con la moglie Eloisa, ex ballerina di bellezza strepitosa e madre di suo figlio Martin, di due anni. Ma non rinuncia all’amato Venezuela: «Ho mantenuto un’altra casa a Caracas e vi torno di continuo. Non potrei fare a meno del mio lavoro con l’Orchestra Simon Bolivar, prezioso frutto del “Sistema” inventato da José Antonio Abreu, che in Venezuela è un mito, un’icona, un padre del popolo. Il suo progetto pedagogico-sociale ha avuto un eccezionale impatto sul territorio. Si tratta di una mastodontica rete d’istruzione che ha permesso di studiare musica a centinaia di migliaia di giovani spesso provenienti da famiglie disagiate, salvando molti di loro dalla criminalità e dalla droga. La struttura è piramidale: alla base ci sono le orchestre infantili, in mezzo le giovanili e nella cuspide la Simon Bolivar, dove convergono i migliori musicisti delle varie formazioni. Tutto è gratuito, dagli strumenti ai corsi, e la mappa del “Sistema” include un centinaio di scuole in tutto il Paese».
Il suo impegno sul podio della Bolivar iniziò nel ’93, e ora è “direttore a vita” dell’orchestra, la quale ormai viaggia trionfalmente in Europa e negli Stati Uniti, viene applaudita al Festival di Salisburgo e alla Philharmonie di Berlino, esegue l’Ottava Sinfonia di Mahler (che esige un organico colossale) insieme alla Filarmonica di Los Angeles: «È accaduto l’anno scorso e per me è stata una soddisfazione immensa poter riunire le mie due “famiglie” musicali. Che hanno dimostrato di non avere scarti di livello qualitativo fra loro». Grazie a tanto plauso si è sviluppata l’identità musicale della Bolivar? «Certo: artisticamente è favolosa più che mai, e con noi collaborano felicemente direttori come Claudio Abbado e Simon Rattle. L’ottanta per cento dei musicisti ha cominciato a suonare in orchestre infantili: il senso del team che si è formato è prodigioso. Non posso più prescindere da questo patrimonio. Inoltre lavorare in Venezuela è per me un modo di ricaricare le batterie. Tutto lì è energetico e galvanizzante».
Dudamel ha voluto riprodurre i princìpi promulgati dal “Sistema” a Los Angeles «con la YOLA, cioè la Youth Orchestra of Los Angeles, dove facciamo suonare giovani poveri, senza documenti e con problemi d’immigrazione. Non c’è limite al potere dell’arte nella risoluzione dei problemi umani e sociali ». In base a tale fede Gustavo, nel dicembre scorso, ha avviato a Los Angeles, con la moglie, una fondazione per diffondere la cultura: «Per esempio porterà a lavorare al mio fianco, con borse di studio, giovani direttori di talento bisognosi di apprendistato ad alto livello. Intanto Eloisa sta anche organizzando un importante festival di danza a Caracas, che invaderà con spettacoli le strade e i quartieri poveri. Noi artisti abbiamo il dovere di promuovere la bellezza, nutrimento fondamentale di cui si parla sempre troppo poco».
Nato a Barquisimeto, ciudad crepuscolar cantata dai poeti per i suoi tramonti, Gustavo è cresciuto a tempo di musica: «Mio padre è trombonista di salsa, mio zio suona musica popolare e tutti in famiglia hanno avuto in mano uno strumento, anche mio nonno. Da piccolo mi sono innamorato del trombone, ma avevo il braccio troppo corto per suonarlo. Così la nonna mi regalò una bacchetta facendomi scoprire un gioco: mettere un disco, disporre i soldatini di piombo in formazione orchestrale e dirigerli». Studia al Conservatorio della sua città, prende lezioni di violino e a dieci anni suona in una delle orchestre giovanili. A dodici sale per la prima volta sul podio per sostituire un direttore ammalato: «I miei compagni ridevano, ma cinque minuti dopo il clima era cambiato: tutti avevano accettato che fossi io a condurli». È un quattordicenne smilzo e nervoso quando merita la nomina di direttore musicale dell’Orchestra da camera Amadeus. Poi s’intensifica l’attività con la Simon Bolivar e prendono il via le tournée.
Nel 2004 a Bamberg, in Germania, Dudamel vince il primo concorso di direzione orchestrale intitolato a Gustav Mahler. L’eco è vasta e monta in alto la sua stella. L’ascesa non si ferma: debutta a Roma, alla Scala, a Londra, ad Amsterdam e in Nord America, registra dischi e viene accolto come maestro ospite dalle due magnificenze musicali europee, cioè i Wiener Philharmoniker e i Berliner (con questi ultimi ha appena inciso Così parlò Zarathustra di Richard Strauss). «Si guarda la mia carriera come se fosse decollata con il Concorso Mahler. Eppure io avevo già ventitré anni e dirigevo da undici. Non ho vinto per effetto magico, ma perché contavo su moltissima esperienza. Ormai faccio questo mestiere da ventun anni, ovvero da più di metà della mia vita. La solidità non mi manca».
Si è parlato di lui come possibile futura guida musicale della Scala, teatro che ha frequentato tanto e con cui è attualmente in tournée in Giappone (fino al 28 settembre) come direttore di Rigoletto e Aida: «Fare Verdi con la Scala è una sfida. Stai su quel podio e pensi che ci sono passati sopra Toscanini, De Sabata, Abbado, Muti… Tanta responsabilità e tanta adrenalina». Riguardo all’eventualità di un titolo a Milano, dice di sentirsi onorato dal gossip, «ma io ho già Los Angeles e la Bolivar. Ci tengo troppo a queste due posizioni».
Tra un successo e l’altro sta debuttando come compositore nel cinema: «Ho scritto la colonna sonora di Libertador, il film che narra la vita dell’eroe Simon Bolivar, ora in uscita in America. Da ragazzino feci qualche piccolo pezzo per orchestra, ma non ho mai pensato di comporre sul serio. Due anni fa il mio amico Alberto Arvelo, autore del documentario Tocar y luchar, dedicato al “Sistema”, mi ha chiesto una consulenza per scegliere le musiche del film su Bolivar. Era appena nato mio figlio Martin e avevo cancellato molti impegni per stare con la famiglia. Nella mia casa di Los Angeles sedevo al pianoforte con Alberto leggendo la sceneggiatura, e a un tratto ho preso a suonare in libertà ispirato dalla lettura. Lui dopo un po’ ha esclamato: devi essere tu il compositore della colonna sonora!».
Dirigere resta comunque la sua priorità: «Di volta in volta ogni brano mi ossessiona. Secondo mia moglie, quando studio un nuovo pezzo a letto ci finiamo in tre: io, lei e quella partitura». Se gli si chiede cosa gli piace di più, risponde: «La gente».