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 2013  settembre 22 Domenica calendario

CALCIO, IL DECLINO DEL TIFO IN CURVA SOLO GLI ULTRAS


PIÙ che di un calo, si tratta di un crollo. Parliamo dei “tifosi”. In Italia, fino a pochi anni fa, erano la maggioranza. Quasi il 56 per cento, nel 2009. E il 52 per cento, l’anno seguente. Poi è iniziata la diminuzione, rapida e sensibile: il 45 per cento nel 2011 e il 43 nel 2012. Un anno fa. Oggi sono il 36 per cento. Sette punti in meno nell’ultimo anno. Quasi dieci negli ultimi due. E venti rispetto al 2009.

È QUANTO emerge dal sondaggio Demos Coop pubblicato oggi sulla Repubblica. In quattro anni, dunque, coloro che si dicono tifosi di calcio si sono ridotti da oltre metà della popolazione a poco più di un terzo. E oggi sono una minoranza, per quanto larga. All’interno della quale è cresciuta la componente più calda. Anzi “militante”. Gli “ultratifosi” (non necessariamente ultras) sono ormai saliti al 47 per cento della popolazione (tifosa). Quasi metà. L’anno scorso erano il 43 per cento. Parallelamente, si è ridimensionato il tifo “tiepido”. Ormai poco più del 20 per cento. In altri termini, la passione per il calcio, in Italia, coinvolge una quota di persone sempre più ridotta, ma sempre più accesa. Sempre più attiva e reattiva. Vi sono diverse ragioni, dietro a questa tendenza, già visibile l’anno scorso, ma divenuta, oggi, più evidente. Tre, fra le altre, sembrano particolarmente importanti.
1. La prima riguarda la credibilità del calcio e dei campionati. Logorata dagli scandali, che si ripetono e si ripropongono, da tempo. Senza soluzione. Tanto che il calcio appare, ai più, viziato dagli interessi. Mentre gli arbitri diventano “sospettati speciali”. A nove tifosi su dieci capita, infatti, di pensare che siano in malafede. In fondo si tratta di “giudici”… 2. La seconda riguarda il contesto. Sappiamo bene che, da molto tempo, il calcio ha smesso di essere un gioco. Ma il problema è che, ormai, viene considerato fonte di insicurezza. Gli stadi sono percepiti come luoghi a rischio, più che di gioco. Dove il razzismo non smette di farsi sentire. Con i “buuu” odiosi, rivolti ai giocatori di colore, presenti in tutte le formazioni. Un fenomeno deprecato da quasi tutti i tifosi, d’accordo sulla necessità di assumere provvedimenti più duri, pur di scoraggiarlo.
Anche per questo è divenuto difficile recarsi allo stadio per trascorrere un pomeriggio o una sera di svago, alle famiglie e, in generale, alle persone “comuni”. Non “contagiate” dal tifo. D’altronde, solo la Juventus ha costruito uno stadio che tenga conto di esigenze di socialità e sicurezza. Mentre la legge da tempo annunciata, per agevolare la costruzione di altri stadi di proprietà e responsabilità delle società, non è ancora stata approvata.
3. La terza ragione riguarda direttamente l’appeal delle squadre italiane e del nostro campionato. Che è in declino. Sei tifosi su dieci, infatti, ritengono che altri campionati siano molto più interessanti del nostro. E la metà dubita, comunque, che le squadre italiane possano vincere la Champions.
Il declino del tifo, in fondo, riflette il declino economico del Paese. Che, fra le conseguenze collaterali (tutt’altro che irrilevanti, non solo per i tifosi), ha prodotto il declino del calcio italiano. Soprattutto delle squadre di club, che non dispongono più di risorse adeguate ad attirare i campioni. A differenza del passato, infatti, i giocatori migliori, compresi quelli che militano nel nostro campionato, oggi vengono reclutati dai club di altri Paesi europei. Anche in questo modo si spiega il successo dei club tedeschi nelle Coppe europee. La Germania. Signora dei mercati — economici, finanziari. E (quindi) calcistici.
L’altra faccia della stessa medaglia è costituita dall’ingresso degli investitori stranieri, interessati alle nostre società di calcio. Già avvenuto alla Roma, si sta realizzando anche all’Inter. Un fenomeno guardato con sospetto e con ostilità da oltre il 60 per cento dei tifosi.
La riduzione dei tifosi, il crescente peso della componente militante, ha accentuato due tendenze, molto evidenti, negli ultimi anni.
A. La prima riguarda la rilevanza del “tifo contro”. Dichiarato esplicitamente dal 56 per cento dei tifosi.
B. La seconda riguarda la partecipazione alle partite di calcio. Che, ormai, avviene, in misura dominante, attraverso i media. Tradizionali (Tv in chiaro e radio), ma anche nuovi. Attraverso le reti satellitari e, sempre più, su internet. Mentre allo stadio ci vanno in pochi. Una quota minoritaria, fra i tifosi. Poco più del 20 per cento.
Così, non sorprende che la mappa del tifo, dal punto di vista delle appartenenze e delle bandiere, riproduca in modo fedele la gerarchia e la geografia degli ultimi anni. Caratterizzata dalla netta prevalenza della Juventus, sulle due concorrenti milanesi. Mentre il Napoli e la Roma confermano una presenza significativa, ma delimitata, anche dal punto di vista dei confini. Questa graduatoria riflette, infatti, la diversa distribuzione territoriale del tifo.
La Juve si conferma come squadra “nazionale”. L’unica a primeggiare nelle principali aree territoriali. Mentre le altre squadre hanno una geografia molto più definita.
L’impressione di fondo che emerge dal sondaggio Demos-Coop è che siamo giunti alla fine di una storia. Durante la quale il calcio ha offerto rappresentanza alle passioni e alle identità locali, ma anche a quella nazionale. Per questo il richiamo di Berlusconi a Forza Italia, a differenza di quel che avvenne nel 1994, oggi non evoca la “Nazionale” di calcio. Perché il legame fra il calcio e gli italiani è cambiato rispetto ad allora. Evoca i nostri vizi, più che le nostre virtù. Visto che il mondo del calcio raffigura, in modo fin troppo esplicito, le pulsioni che attraversano la nostra società. L’intolleranza etnica, la corruzione politica (e non solo), il localismo ultrà, l’insicurezza, la sfiducia negli altri e nelle istituzioni. Le polemiche contro i “giudici”, pardon: gli arbitri. La crisi economica. Così, rispetto a vent’anni fa, il (video) messaggio indirizzato da Berlusconi agli elettori è cambiato. Almeno, dal punto di vista dell’effetto. Della percezione. Perché, in video, c’è un uomo invecchiato e incupito. Che non si rivolge agli “italiani”. Ma ai militanti e agli ultrà. In generale, ai “tifosi”. Che sono in declino. Come il Paese.