Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 22/9/2013, 22 settembre 2013
L’ECONOMISTA DI RAZZA È (ANCHE) UNO PSICOLOGO
L’8 settembre avevamo ripreso il filone dei premi Nobel con le assegnazioni del 1974. I premiati furono due: abbiamo allora parlato di Friedrich von Hayek e oggi parliamo dell’altro premiato, lo svedese Gunnar Myrdal.
Come dicemmo la volta scorsa, «quella fu una premiazione interessante, perché sottolineò come l’economia non stia in piedi da sola. L’economia è una scienza dell’uomo e l’uomo – lo sapete – è un animale complicato. Se volete essere un bravo economista dovete anche sapere di politica, di sociologia, di psicologia, di filosofia, di storia ...». Nell’economia ci sono molti numeri e i numeri non dovrebbero essere controversi: la matematica non è un’opinione. Ma quando ci si allarga alle altre discipline delle scienze dell’uomo, le opinioni sono diverse e si creano polemiche e contrapposizioni. Tanto che, sia pur tempo dopo aver ricevuto il premio, Myrdal, che era di idee socialiste, propose (come scritto da Claudia Galimberti nell’articolo su Hayek dell’8 settembre) «di abolire il Nobel per l’economia visto che viene dato a "reazionari" come Hayek».
Polemiche a parte, quale fu il contributo di Gunnar Myrdal all’economia? In parte fu un contributo puramente economico: sottolineò il ruolo delle attese – di quello che la gente pensa succederà – nel processo di formazione dei prezzi. L’inflazione non dipende solo dalla troppa domanda di beni rispetto a quanti beni vengono offerti. Dipende anche da quello che la gente pensa succederà al prezzo dei beni e servizi. Questa enfasi sul ruolo delle aspettative è in un certo senso profetica, perché, decenni dopo, verrà ripresa da una corrente di pensiero economico che va sotto il nome di «aspettative razionali», e della quale parleremo un giorno. Myrdal fu un sostenitore del pensiero di Keynes riguardo alla necessità, da parte del bilancio pubblico, di sostenere la domanda con maggiore spesa o tagli di tasse quando l’economia va male. E non mancò di sottolineare che le idee di Keynes, esposte nella «Teoria generale...» del 1936, erano state anticipate dal Myrdal stesso nel libro «Monetary Economics», pubblicato quattro anni prima, nel 1932.
Ma Myrdal è specialmente conosciuto per aver esteso il campo dell’indagine economica ad altre discipline. Oltre che economista, fu un sociologo e un politico (lui e sua moglie, Arva Myrdal, furono Ministri in vari governi svedesi, e Arva fu anche ambasciatrice della Svezia in India). Nel 1938 fu incaricato dalla Carnegie Corporation di condurre uno studio sul problema razziale in America (si veda l’articolo a fianco). Ne scaturì la sua opera più famosa - «An American dilemma: The Negro Problem and Modern Democracy». Fu opera di un economista? No, fu opera di uno "scienziato sociale", come dovrebbero essere tutti gli economisti. Torna alla mente una letterina che John Maynard Keynes scrisse alla moglie Lydia: «L’economista non è un re - vero. Ma dovrebbe esserlo! È un governante migliore e più saggio del generale o del diplomatico o di un eloquente avvocato. In questo mondo moderno e sovrappopolato, che può sopravvivere solo con le riforme giuste, egli è non solo utile ma necessario. Mi fermo qui e corro a imbucare. Abbracci, Maynard».
Myrdal disse che gli americani hanno un dilemma, una contrapposizione fra i loro ideali di eguaglianza e la realtà che vede la minoranza nera ben al di sotto della maggioranza bianca. Quell’opera di Myrdal fu molto influente: fu citata anche dalla Corte Suprema americana quando, con la sentenza del 1954 (Brown contro il Board of Education) annullò come incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole (praticata soprattutto al Sud). Myrdal era molto sensibile alle differenze di reddito e di levatura sociale. Oltre al problema razziale c’era (e c’è ancora) un problema di "genere" (uomo-donna). E il Nostro avrebbe voluto scrivere un libro anche su questo aspetto della diseguaglianza, ma non trovò chi lo finanziasse.
La sua (benefica) ossessione sulle diseguaglianze lo condusse verso altri campi di analisi: per tutti gli anni Sessanta lavorò a una studio dei problemi economici e sociali dell’Asia meridionale. Analisi che sfociò in un’opera monumentale, i tre volumi dell’«Asian Drama: an Inquiry into the Poverty of Nations», pubblicato nel 1968. Argomentò come il "dramma" poteva trasformarsi in "tragedia" se quei Paesi non fossero riusciti a controllare le nascite, a eliminare la corruzione, a distribuire meglio la terra fra la popolazione e a investire di più nell’istruzione e nella sanità.
Cosa accomuna i due vincitori - Hayek e Myrdal - del Nobel dell’economia 1974? A parte le ovvie differenze ideologiche, i due hanno in comune l’enfasi su tanti aspetti dello sviluppo economico che gli economisti puri ignorano o danno per scontati: le istituzioni – dal governo al sistema politico, dalla giustizia alle infrastrutture legali – e la cultura prevalente, i valori, la mentalità, le aspirazioni. Ricordiamolo ancora una volta: un buon economista deve sapere che l’uomo non è solo un homo oeconomicus ma un essere umano plasmato dalla società in cui vive.
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