Angela Padrone, Il Messaggero 23/9/2013, 23 settembre 2013
IL SAPORE DELLE ECCELLENZE
L’ultima è la Trota del Trentino, un pesce d’acqua dolce simile a un piccolo salmone, che viene allevato in due zone in provincia di Trento e di Brescia, e genera un fatturato di 24 milioni di euro. La Ue gli ha accordato il marchio Dop, denominazione d’origine protetta, riconoscendone la tipicità e il valore geografico e gastronomico. A Trento quindi si festeggia. Ma tutta l’Italia ha di che esultare, visto che il nostro è il paese europeo con il maggior numero di riconoscimenti tra Dop e Igp, cioè eccellenze alimentari (mettendo da parte per ora l’universo del vino) che sono ben 252: da ”Abbacchio Romano” (riconosciuto fin dal 2009,) a ”Zampone di Modena” (marchio registrato dal 1999)c’è da far impazzire qualunque palato. Per di più battiamo alla grande la vicina Francia, che ne ha solo 197.
LA BABELE
In questa lista che il mondo intero ci invidia ci sono ben tre diversi tipi di aceto balsamico (tra i quali il favoloso ”tradizionale” che richiede una lavorazione tra i 12 e i 25 anni), due qualità di aglio (quello bianco di Rovigo e quello di Voghiera), per non parlare di tre tipi di arance rosse, quattro di asparagi, sei tipi di fagioli, otto di castagne marroni, nove tipi di prosciutto. A queste meraviglie, ognuna delle quali vanta caratteristiche particolari, vanno aggiunte una quarantina di Dop di olive, che portano alla produzione di olii distintivi di diverse regioni e località, e altrettanti formaggi.
Ma a che cosa è dovuto questo enorme numero di prodotti tipici riconosciuti e certificati? Davvero abbiamo i cibi migliori d’Europa? «Sì, noi abbiamo una tradizione enogastronomica legata al territorio più di chiunque altro», spiega Giuseppe Cornacchia, responsabile del dipartimento Economico della Confederazione Italiana Agricoltori. «La nostra storia, la nostra cultura, e perfino la nostra geografia ci ha portato a una diversità senza pari. La Francia invece ha un territorio più omogeneo, sia da un punto di vista geografico che, soprattutto, da un punto di vista culturale. Per loro la qualità ha più un significato organolettico, meno legato al territorio».
Ci sarebbe di che inorgoglirsi, se non fosse per il rovescio della medaglia. La proliferazione di prodotti tipici dipende anche da un inveterato campanilismo: quante persone, per esempio, conoscono i fagioli di Sarconi (Dop della Basilicata), una delle sei Dop di fagioli? Ma soprattutto quanti la conoscono all’estero, là dove le Dop potrebbero servire a promuovere e difendere un prodotto dalle contraffazioni? La rivalità tra comuni, tra vicini, la proverbiale lotta tra i capponi di Renzo ha portato a questo: la divisione delle forze. Così abbiamo circa 40 dop diverse di olive da olio, mentre magari la maggior parte di chi fa la spesa compra al supermercato l’olio che costa di meno (fatto con miscele inimmaginabili) e all’estero si prende per prodotto ”italiano” quella marca tanto nota che di italiano ha solo il nome. E uno dei nostri vanti, il fiordilatte (la mozzarella di latte di mucca) non ha neanche una dop, per la litigiosità tra i caseifici.
SPECK E TALEGGIO
Tra l’altro, una decina di Dop fa da sola oltre l’80 per cento di fatturato, e il 97% viene raggiunto con le prime 20 Dop. Si tratta di dodici miliardi di euro, un terzo dei quali da esportazione: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Aceto Balsamico di Modena, Mela Alto Adige, Prosciutto di Parma, Pecorino Romano, Gorgonzola, Mozzarella di Bufala Campana, Speck Alto Adige, Prosciutto San Daniele, Mela Val di Non, Asiago, Mortadella di Bologna, Bresaola della Valtellina Igp, Taleggio, Cipolla di Tropea, Vitellone dell’Appennino Centrale, Pomodoro San marzano, Montasio, Provolone della Valpadana. Gli altri fanno piccoli numeri. «Un terzo delle Dop sono di nicchia e difficilmente potranno sfondare all’estero - dice Cornacchia - ma per il 50% delle nostre Dop il risultato è certamente inferiore a quello che potrebbe essere ottenuto con un po’ più di organizzazione». E questa è l’altro problema: la tremenda disorganizzazione italiana, il cui risultato è che i piccoli prodotti dop non riescono a conquistare i mercati stranieri e sperperano un potenziale di crescita enorme.
ITALIAN FOOD
Eppure l’entusiasmo per i prodotti ”italiani” all’estero è enorme: in questi anni la crescita delle esportazioni in questo settore è stata del 7% l’anno. Ma soprattutto, c’è un ampio spazio che invece viene occupato da altri: i prodotti ”italian sounding”, le imitazioni di alimenti finto-italiani valgono circa 60 miliardi. Il doppio di tutte, le esportazioni di prodotti alimentari italiani veri (dop e non-dop). Una cifra che potrebbe essere terreno di caccia per le nostre arance, mozzarelle, per i nostri carciofi, per il nostro olio. Prodotti che sulle tavole dei compratori stranieri non ci arrivano.
LE PAGNOTTE
Intanto è in dirittura d’arrivo il pane toscano ”sciocco”, quello senza sale. Entro tre mesi dovrebbe diventare la 253a denominazione protetta. Ma naturalmente il settore è già affollato dal pane di Matera, da quello di Altamura, dal casareccio di Genzano, dalla Coppia Ferrarese e dalla pagnotta del Dittaino. Quando magari nelle case d’oltralpe a volte non si sogna altro che un bel pane italiano, che invece arriverà surgelato da qualche paese extraeuropeo.