Oscar Giannino, il Messaggero 23/9/2013, 23 settembre 2013
COSA CAMBIA CON LA RIELEZIONE DELLA MERKEL
(articolo Giannino + sei box) –
Al trionfo elettorale di Angela Merkel moltissimi masticano amaro, in Italia. A sinistra come a destra, come tra i grillini. In un Paese che stenta a riconoscere proprie responsabilità per una crisi che lo colpisce tanto duramente, avrebbe preferito tutt’altro risultato sia il più della politica italiana, sia i tanti che ormai parlano a gogo di uscita dall’euro come fosse bere un bicchier d’acqua. Eppure il trionfo della Merkel ma con un risultato aperto a diverse interpretazioni dovrebbe essere considerato come una grande chance per l’Italia, se solo volesse giocarsi il semestre europeo di presidenza Ue nel 2014 nella condizione di «Paese in regola», e non precipitato a disastrose elezioni. La maggioranza assoluta dei seggi del Bundestag è sembrata a lungo possibile per la Merkel da sola. Ma anche se quota 300 al Bundestag fosse sfiorata per un soffio dalla Cancelliera tedesca, comunque ciò conferma a lei la leadership della politica germanica. Per comprendere se davvero il neonato movimento euroscettico «da destra», AfD, sia o meno nel Bundestag, bisognerà contare fino all’ultimo voto. Ma non è esploso e questo conta. Per i liberali della Fdp la débâcle è clamorosa e più prevedibile, per l’inconcludenza in questi anni. La sconfitta della sinistra è netta. La Spd guadagna sul 2009 ma resta lontana dalla Merkel di almeno 16 punti, e sia Verdi sia Linke, la sinistra estrema, perdono rispetto ad allora. Se gli impegni di campagna elettorale assunti dalla Merkel e dal leader sfidante della Spd, Steinbrück, verranno mantenuti l’unica alternativa a un monocolore Merkel, è la grande coalizione tra democristiani e socialdemocratici. Con la Merkel però in posizione di assoluta forza.
Che cosa potrà cambiare nella politica economica europea, e per i Paesi eurodeboli come l’Italia? Nel caso di grande coalizione, molti in Italia sperano che la Spd tiri molto la corda, cambiando segno alla piena cooperazione con la Cdu degli anni 2005-2009, quelli delle grandi riforme di finanza pubblica, welfare e mercato del lavoro varate dall’allora leader della Spd, Schroeder. È vero che nella Spd, dietro lo sconfitto Steinbrück, scalpitano leader alla testa di Länder in cui la sinistra governa. Ma il senso generale di questo voto tedesco resta ancorato a due pilastri: sì all’euro e all’Unione europea contro chi ne vuole uscire, ma sì anche a regole che evitino la messa in comune di debiti sovrani degli euromembri.
Oscar Giannino
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Niente condivisione dei debiti pubblici -
Richiesti da anni dall’Italia come dagli altri Paesi eurodeboli, non hanno possibilità di essere accolti. La Merkel ha chiuso la campagna elettorale escludendoli esplicitamente. Ma gli eurobond non solo l’unica soluzione possibile. Si può pensare invece ad affiancare agli euro criteri attuali – i tetti a deficit e debito ben noti, il pareggio di bilancio e il fiscal compact per il rientro dei debiti pubblici – nuove metriche che tengano in più conto la convergenza reale delle economie: a cominciare dall’andamento delle bilance di pagamenti per “scoraggiare” l’eccessivo surplus tedesco, e la quota di investimenti pubblici e privati sul Pil. Certo, per avere i titoli per farlo magari è meglio che l’Italia sia in regola, che rischiare il commissariamento andando a nuove elezioni alla cieca.
Si riduce lo spazio per nuovi trattati
A Berlino sono molto freddi, sull’ipotesi di nuovi grandi accordi istituzionali. Prima vogliono vedere come gli eurodeboli applicheranno il fiscal compact -che li e ci obbliga a scendere dal 2015 ogni anno di un ventesimo dall’eccesso di debito pubblico oltre la quota del 60% di Pil – e il two pack – il criterio che abbiamo condiviso per il quale, dalla legge di stabilità da presentare in Parlamento entro poche settimane, ogni legge finanziaria degli euromembri viene esaminata a Bruxelles prima e non dopo che il parlamento lo approvi. La Bundesbank e la Corte di Karlsruhe già faticano molto a convincersi che i limiti degli attuali Trattati, dello Statuto della Bce e della GrundGesetz, la Costituzione tedesca, non siano già stati superati.
Saranno più distesi i rapporti con la Bce
Anche per l’Eurotower, al di là dell’indifferenza ufficiale alla quale è tenuta, la grande coalizione tedesca sarebbe preferibile al monocolore Merkel. Per la Cancelliera, più che un aiuto sono state una spina nel fianco, le critiche – e le dimissioni dalla BCE – di esponenti dell’ala ortodossa della Bundesbank portate alla linea seguita da Draghi con le aste di liquidità LTRO e con lo scudo OMT – i due “capolavori” che hanno impedito all’eurocrisi di degenerare e la spingono lentamente a rientrare. Ma l’euroscetticismo alle urne comunque non ha sfondato. Il giudizio che stiamo attendendo in autunno della Corte di Karlsruhe non per questo sarà meno fermo nel porre “paletti al futuro”, per la BCE. Ma abbassa le probabilità di bocciature su quel che è avvenuto in questi anni. Non è poco.
Per l’Unione bancaria fondo unico in salita -
È il più delicato punto aperto, oggi. Il meccanismo di vigilanza unico europeo, incentrato sulla Bce, è stato deciso e votato. Ma restano da sciogliere i nodi di un fondo autonomo da mobilitare per finanziare gli eventuali interventi d’emergenza su banche “sistemiche” cioè transfrontaliere, al di là dei salvataggi eventualmente a carico delle finanze pubbliche nazionali e del coinvolgimento al loro fianco del mercato. Il ministro delle Finanze uscenti, Schauble, è ostile a un fondo comune europeo. In realtà sarebbe necessario, se vogliamo che l’unione bancaria sia un passo verso l’Unione di bilancio e l’Unione politica. Senza uno strumento finanziario comune, la vigilanza della BCE sarebbe più forte e più omogenea di quella attuale affidata alle banche centrali nazionali, ma meno credibile.
L’asse franco-tedesco difficile da sostituire -
Nell’ultimo anno, il grande punto debole della tradizionale locomotiva europea, l’alleanza franco-tedesca, è entrato in crisi per via delle crescenti difficoltà e delusioni del presidente Hollande, a Parigi. La famiglia socialista europea si attendeva un grande ribilanciamento rispetto all’ortodossia germanica, dopo Sarkozy. Ma la prospettiva è presto sfumata. La Francia ha portato a casa uno slittamento del rientro dal suo deficit di bilancio, ma nulla per il riequilibrio di una crescita europea che non può funzionare sul solo modello export led tedesco. Londra, con il governo conservatore Cameron, si è insinuata nello spazio lasciato aperto, e recentemente ha vinto molte partite. Ecco lo spazio per un’Italia coi conti in ordine a nome di tutti gli eurodeboli, se non saremo autodistruttivi.
Sull’isolazionismo in arrivo nuove sfide -
È un punto debole, per la Merkel. Molti scambiano l’elasticità delle sue posizioni per non aver le idee chiare, e per questo anche da noi fiorisce una letteratura sullo “stile grigio” di Mutti Merkel. Al contrario, da grande politica ha assecondato negli anni il pensiero profondo della maggioranza dei tedeschi, dallo sposare un costosissimo mega piano di energie rinnovabili che ha tagliato l’erba sotto i piedi dei Verdi, a un crescente isolazionismo mondiale, dopo che la Germania era stata in Afghanistan. L’Europa inesistente di questi anni nelle vicende mediorientali indebolisce tutti. Gli Usa ne sono molto delusi. E la Germania avrà bisogno fino a 200 mila immigrati l’anno per reggere la sua curva demografica.