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 2013  settembre 21 Sabato calendario

UNA NOTTE CON AVICII, IL DEEJAY ROCKSTAR CHE VOLA IN CLASSIFICA

In fondo basta poco. Basta entrare alla Roundhouse giu­sto mentre Avicii attacca il suo concerto (concerto? show? gala?) per rendersi conto che or­mai è la dance a dare il ritmo ai ra­gazzi. Il rock è in letargo, le rock­star per lo più vivono di rendita e i canoni del genere sono stati mu­tati dai deejay: culto della perso­nalità, fan base accanita, rituali precisi. Lui, Tim Bergling in arte Avicii, in piedi su di un palco mi­croscopico, dentro la Roundhou­se è poco più che un puntino bion­do annegato dentro un mega­schermo così preciso che la Nasa se lo scorda, e si nota solo se alza le braccia quando dai woofer esce una bordata di bassi che fa stra­mazzare la gente in pista. È l’iTu­nes Festival, mega happening lungo un mese che a questo giro è iniziato con Lady Gaga e finirà il 30 con Katy Perry. In mezzo a lo­ro, chiunque:da Elton John a Lud­ovico Einaudi a Kings of Leon. È la trasversalità, bellezza.
Però gli artisti cambiano, il pub­blico rimane più o meno simile, sia anagraficamente che cultural­mente. Il pop non è più una guer­ra per bande stile Duran Duran contro Spandau Ballet. O forse lo è, ma solo fino a vent’anni. Poi è curioso e libero, molto più che in passato. La fine dei generi musica­li si capisce anche da qui, alla Roundhouse di Londra, dove il metallaro potrebbe senza proble­mi t­rovarsi in mezzo a chi applau­de Avicii, uno svedese ventiquat­trenne, entrato nella musica dal­la parte di Ray Charles e dei Kiss perché «mio padre e i miei fratelli me li hanno messi subito in testa da ragazzino». In pochi anni ha fatto carriera. E sfrutta la contin­genza, come direbbero a Piazza Affari. La crisi ha azzoppato i me­ga tour con palchi fantasmagori­ci, band, orchestre, centinaia di persone on the road e budget mi­lionari. E così, mentre le super­star sono obbligate alle «residen­cy», ossia a mesi di concerti nello stesso posto per limitare le spese, i deejay girano da soli «con una chiavetta usb dentro la quale tene­re la musica che suonano», come minimizza qualcuno. In ogni ca­so, l’invasione dell’electronic dance music e dei dj è un segno dei tempi anche per questo moti­vo. Il biondino Avicii lo confer­ma. È appena entrato tra i dieci de­ejay più ricchi del pianeta visto che nel 2012 ha guadagnato sette milioni di dollari (il primo in clas­sifica, Tjesto, supera i 22) ed è for­se il più rampante di tutti come di­mostra il nuovo cd True. Ha re­mixato (bene) Girls gone wild di Madonna e Sweet dreams di Eu­rythmics, è stato copiato (male) da Leona Lewis in Collide e poi ha svoltato con Lay Me Down realiz­zato con sua santità Nile Rodgers degli Chic (visti qui proprio la se­ra dopo). «Ho deciso di collabora­re con lui molto prima dei Daft Punk», ripete ogni volta.
Comunque, da allora chi lo fer­ma più.
A differenza delle rockstar, che ci mettono la faccia, i deejay ci mettono i bpm e il loro viso non è quasi mai molto popolare. Gira­no tranquilli per la strada. Ma, per capirci, Avicii è l’autore di Wake me up, un tormentone dell’esta­te, primo su iTunes in 70 nazioni e superato in Italia solo la settima­na scorsa da Limpido della Pausi­ni. In Gran Bretagna quel brano (dance inspiegabilmente venata di country) ha impedito ai One Di­rection di debuttare al primo po­sto con il singolo Best song ever , co­sa che equivale a lesa maestà. Per di più, in una settimana ha vendu­to quasi il doppio delle copie. E qui si capisce il perché, bastano pochi minuti: pubblico trasversa­le, tensione molto alta, volti diver­titi e non poco, fuori piove a dirot­to ma qui il concerto fila via asciu­to, un’ora non di più. Ma che ora.
Poco dopo l’inizio, due gang di ragazzotti ipermuscolosi non se le mandano a dire. Volano paro­lacce e testate e un naso sarà rima­sto livido per un bel po’. Con aplomb molto british, un inser­viente pulisce le tracce di sangue dal muro e tutto torna candido co­meprima, anche perché pochissi­mi si erano accorti della scazzotta­ta. Dentro rimbomba X You, un brano che Avicii ha realizzato con il crowdsourcing, che è una sorta di laboratorio globale via web: da 140 paesi circa quattromila perso­ne gli hanno spedito un’idea musicale, un ritmo, un effetto. Lui li ha mescolati creando una canzo­ne. Roba inimmaginabile fino a poco tempo fa. Qui poi. Qui,un ex edificio industriale proclamato “teatro leggendario”, quaranta­cinque anni fa hanno suonato i Doors. Poi i Ramones o i Led Zep­pelin. Vicino c’è Regents Park e spunta un pub a ogni angolo, do­ve, dopo lo show di Avicii (perfor­mance? gala?) i giovanissimi fan­no ­come i loro padri dopo un con­certo rock: bevono una birra. E anche questo fa capire che cambia sempre tutto ma solo in apparen­za.