Ferdinando Camon, Avvenire 21/9/2013, 21 settembre 2013
UN KALASHNIKOV PER PRINCIPIANTI
È una di quelle notizie che passano inosservate, in Italia più che altrove, eppure avrà una grande importanza nelle prossime guerre, insurrezioni, atti di terrorismo, imprese della mafia e della camorra, di al-Qaeda e dei sequestratori di tutto il mondo. È il rinnovo del kalashnikov, che viene ripensato nel design e nelle prestazioni. Il 18 scorso Putin ha visitato la fabbrica che lo produce, per vedere di persona il nuovo fucile. Finora è stato un immenso successo.
A cosa serve un fucile? A commettere la colpa delle colpe: uccidere. A cosa serve un fucile migliore? A commettere quella colpa ’con più soddisfazione’.
Dà questa (nefanda) soddisfazione il kalashnikov? Sì, sempre data. L’ho avuto in mano sotto le armi, ce lo passavamo tra colleghi ufficiali, e poi ci guardavamo in faccia: è più leggero, più equilibrato, meglio impugnabile, più maneggevole delle nostre armi Nato. Un fucile serve anche per armare gli eserciti che combattono per una giusta causa, per difendere il proprio Paese, per proteggere la pace, per fermare assassini, narcotrafficanti, banditi di tutte le specie, e allora perché dire che la soddisfazione che dà quest’arma è ’nefanda’?
’Nefanda’ un’arma inventata dagli altri, ’benigna’ un’arma inventata da noi? No, non è così. È che quest’arma l’abbiamo vista alle spalle di Osama, poggiata al muro della caverna da cui registrava i suoi messaggi; la vediamo imbracciata dai guerriglieri di al-Qaeda, nei filmati che loro stessi diffondono; perfino dalle guerrigliere; perfino dai bambini-soldati; perfino dai ragazzi sequestratori che custodivano Quirico. Costoro trattavano i loro kalashnikov come i nostri ragazzi trattano gli zainetti: se li scrollavano di dosso, li buttavano per terra e andavano via. Quirico e il suo compagno di prigionia han guardato questi mitra lì a un passo e han pensato: «Li prendiamo? Ammazziamo i nostri stupidi carcerieri e scappiamo?». Ma il cristiano Quirico ha concluso: «A uccidere, io non ce la faccio».
Che i sequestratori li dimenticassero per terra significa una cosa: questa è l’arma degli impreparati, dei soldati improvvisati, dei bambini, delle donne. È l’arma che ingigantisce a dismisura il numero dei combattenti sulla Terra.
Perché? Perché è semplice, costa poco, si trova dappertutto, si può costruire abusivamente con una certa facilità. Lo fanno Cina, Corea, Vietnam. Così costa ancora meno. Chi commette la colpa delle colpe, cioè ammazza, ha una paura: che l’arma s’inceppi e lui, il killer, resti lì, e diventi un bersaglio. Una settimana fa un killer della camorra voleva uccidere la sua vittima in una strada filmata da una telecamera: abbiamo visto il killer (un grassone) avvicinarsi con calma, sparare un colpo, la vittima azzoppata cade a terra, il killer gli va sopra per finirlo con gli altri colpi. Ma l’arma s’inceppa, ha il colpo bloccato in canna, non funziona più. Il killer fa dietro-front e se ne va, lemme lemme. Per noi, un angelo ha protetto la vittima. Per il mancato assassino, il diavolo ci ha messo la coda. Questo problema (che lascia incompiuta la colpa delle colpe, uccidere, perché l’arma s’inceppa), non ci risulta per il kalashnikov: ha un’altissima affidabilità. Ma allora, perché lo riprogettano?
Cosa vogliono di più? A quanto si capisce, vogliono un’arma ancora più maneggevole (per le donne?, per i bambini?) e che abbia tre modalità di sparo: un colpo o tre colpi o a raffica. I tre colpi sono una novità. Sono anch’essi (suppongo) per un bersaglio singolo. Ma con un colpo solo il bersaglio singolo lo puoi mancare, con tre colpi no, neanche se è la prima volta che spari. Un’arma da attentato, agguato, resa dei conti.
Tanti eserciti faranno festa. Ma ancora di più, purtroppo, i malavitosi.