Raffaele La Capria, Corriere della Sera 21/09/2013, 21 settembre 2013
GLI ECCESSI DELL’ETERNA RUSSIA
«Ho letto con ritardo Lolita e Il Gattopardo», diceva Flaiano prendendo in giro i lettori troppo preoccupati di aggiornarsi. Anch’io ho letto con ritardo Limonov, il romanzo di Emmanuel Carrère (Adelphi) dedicato appunto a questo personaggio dalla vita spericolata. Finora avevo opposto una certa resistenza a leggerlo, perché l’infatuazione di uno scrittore francese, figlio di una borghesia agiata e mondana, per un avventuriero un po’ fricchettone come Limonov, suscitava in me una certa diffidenza. Avevo incontrato Carrère a Capri in occasione del premio Malaparte, che gli abbiamo attribuito lo scorso anno, e mi aveva fatto una certa impressione, sicuro di sé e tosto anche nel fisico, un bel tipo e non solo uno scrittore e un letterato, ma un uomo aperto a molte esperienze, sceneggiatore, regista, reporter, inviato speciale.
Per la lettura di agosto ho messo in valigia il suo Limonov e, ora che l’ho letto, posso dire che non me ne sono pentito. È un libro che scorre facile, scritto in una lingua semplice e chiara e quasi confidenziale, come se l’autore si rivolgesse a tu per tu al lettore, ma soprattutto è un libro che, più che per il protagonista Limonov — verso il quale ho rispetto, ma non molta simpatia —, a me interessa per il tentativo che fa Carrère di descrivere lo stato del mondo contemporaneo e gli eventi accaduti nell’ultimo ventennio soprattutto in Russia.
Questo libro mi ha fatto pensare a Kaputt di Malaparte, senza però il suo esibizionismo mistificatorio. Lo snobismo di Carrère, il suo intellettualismo molto francese, i suoi giudizi distaccati ed estranei alla correctness sono lontani dalla platealità malapartiana e cercano di spiegare, come lo farebbe un bravo inviato speciale, la situazione ingarbugliata di politica e società nel mondo in cui viviamo.
Prima di leggere Limonov non avevo un’idea di come fosse la vita quotidiana in Russia, come tutto lì toccasse punte estreme, il bene e il male, la povertà e la ricchezza, e quanto fosse facile finire ancor oggi in Siberia. E neppure avevo un’idea sull’importanza della vodka, bevuta a litri, con sbornie che durano più giorni, e non immaginavo con quale frequenza molte questioni e molti diverbi si risolvessero con una generale ubriacatura. Questo modo di vivere disordinato e sempre estremo è raccontato da un osservatore intelligente, che non si fa mai troppe illusioni sulla natura umana. Limonov sembra infatti scritto da due autori diversi; uno è un narratore capace di raccontare disperate storie d’amore e di presentare personaggi che vivono vite disinibite e disperate fino all’autodistruzione, vite di donne russe belle ed affascinanti, eleganti ed ambiziose, affamate di successo e di sesso, fino a degradarsi come fanno Tanja e Natasha. Un altro è un giornalista che si interessa alle guerre e ai fatti del mondo, alla politica e alle sue contorte strategie, e alla criminalità sempre presente.
«Tanja ha vent’anni, bruna, longilinea, minigonna di pelle e tacchi alti. Una ragazza del genere Limonov non l’ha mai vista "dal vero", ma soltanto sulle copertine delle riviste straniere». Naturalmente se ne innamora, è quello che ha sognato tutta la vita. Ma la loro storia, con alti e bassi e momenti di furiosa passione, è destinata a finire. Tanja sogna un altro tipo di vita, diversa. Limonov «non sa godersi la vita», e lei vuole godersela alla maniera occidentale, anche se poi le va male.
Natasha, che Limonov incontra a Parigi qualche anno dopo, è una donna «alta, maestosa, le cosce possenti avvolte nelle calze a rete, truccata come un mascherone», canta in un locale parigino «con una voce roca, magnifica e profonda, e tutti quelli che l’hanno conosciuta dicono che quando lei cantava le si vedeva l’anima». Anche l’amore di Limonov per Natasha sarà tempestoso, lei si droga, si dà per niente a degli sconosciuti, è una ninfomane. Quando Limonov torna una sera a casa la trova ubriaca fradicia, buttata su un letto dopo una notte dissoluta, lei con una voce impastata gli dice: «Mi sgriderai dopo, adesso scopami». E anche quest’amore finirà tragicamente.
Il filo conduttore che ci porta dalla Russia post comunista — ma ancora nostalgica del passato sovietico — e dalla Russia in America, dall’America a Parigi, e poi di nuovo in Russia, in Jugoslavia, in Asia Centrale e dovunque ci sono conflitto tensioni e guerra, è appunto Limonov, Limonov l’Irrequieto, il personaggio ammirato per i suoi eccessi e per il suo carattere «eroico», lo scrittore di libri che si vendono poco, ma che hanno lettori entusiasti. Lo seguiamo in tanti momenti, quando si sente tradito dalle sue amate, abbandonato, e per disperazione si ubriaca e si degrada, quando si dà alla politica e fonda movimenti eversivi, quando va in Serbia a combattere e ad assistere senza batter ciglio alle atrocità che commettono le milizie guidate dal suo amico Arkan, il famigerato Arkan. Per lui le vittime della guerra sono i serbi, carnefici sono i croati.
Quando Limonov è arrestato per le sue iniziative sovversive, sconta dignitosamente la sua lunga prigionia, e anche in questo caso il suo comportamento desta l’ammirazione del suo biografo. Eppure, nonostante tutte queste vicissitudini ben raccontate, si ha l’impressione che il personaggio Limonov ci sfugga e che neanche Carrère riesca ad afferrarlo. Dice che lui rappresenta la controcultura della Russia, ma troppe cose tutte insieme accadono intorno a lui e su lui confluiscono perché sia possibile individuarne bene la personalità.
Ma non solo di Limonov si parla nel libro: anche la storia, i personaggi che ne emergono vengono presentati e giudicati a volte con distacco, spesso con sufficienza, e sempre in modo molto personale e poco convenzionale: Solzenicyn, Sakharov, Gorbaciov, Eltsin, Putin… Di Solzenicyn, all’uscita di Arcipelago Gulag, si dice «appena si comincerà a dire la verità, verrà giù tutto». Dopo qualche anno si dice che «il barbuto è sepolto sotto le sue stesse prediche». Battute crudeli su Solzenicyn, brindisi a Stalin, perché i nostalgici del comunismo non sono pochi e aumentano di anno in anno.
Perciò ho letto Limonov di Carrère fino alla 356ma pagina senza poterlo abbandonare. È un libro disordinato come la vita di Limonov e non sempre è all’altezza delle ambizioni del suo autore, ma è un libro interessante, pieno di notizie e di personaggi, che ci aiuta a capire un po’ meglio la nostra epoca, anche quando «le opinioni sono meno importanti del talento con cui vengono espresse».
Raffaele La Capria