Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 18/9/2013, 18 settembre 2013
LATO B.
Cari italiani, ma soprattutto italiane, mi vedo costretto un’altra volta a ricorrere allo strumento del videomessaggio, vincendo la mia proverbiale ritrosia all’apparire in pubblico, a causa della censura esercitata da vent’anni nei miei confronti dai media, in particolar modo televisivi. Come sapete, nell’ultimo mese e mezzo mi ha abbandonato anche la Cassazione, in cui riponevo la massima fiducia perché finora, almeno lì, l’avevo sempre fatta franca. Invece mi ha colpito a tradimento con due sentenze politiche sui casi Mediaset e Mondadori, che mi vedono totalmente estraneo. Nel senso che, come mi assicurano i miei avvocati, anch’essi molto cari ma in un altro senso, in entrambi i processi ho dimostrato di non aver mai avuto nulla a che fare né con Mediaset né con Mondadori: questi due nomi non mi dicono nulla e li ho appresi recentemente dai giornali, visto che dal 1994 io mi occupo d’altro, cioè di figa.
Ma io non demordo, non mi arrendo, non mi dimetto: ho intenzione di vendere cara la pelle, almeno quella poca che mi è rimasta di originale (qualche raro frammento fra l’anulare e il mignolo del piede sinistro). Chi pensa che, per rappresaglia contro due sentenze politiche, io intenda ritirare i miei ministri dal governo Letta non ha capito nulla. Intanto, se ritiro Alfano, Quagliariello, Lupi, De Girolamo e la Lorenzin, non se ne accorge nessuno: sai che rappresaglia. E poi la mia vera e unica garanzia al governo non è certo quel quintetto di scioperati mangiapane a ufo: è il giovane Letta, ma non posso ritirarlo perché è ancora in prestito d’uso al Pd, in attesa del tagliando. Il ragazzo sì che mi sta dando tante soddisfazioni: dopo Dudù, è l’unica consolazione della mia vecchiaia. Gianni me l’aveva detto: mettici lui, a Palazzo Chigi, e non te ne pentirai. Avete visto com’è stato bravo a fingere di abolire l’Imu cambiandole il nome e dando tutto il merito a me? Monti e Tremonti, al confronto, sono dei dilettanti. Non c’è niente da fare: l’erba del vicino è sempre la più verde. Per questo ho deciso di tornare a Forza Italia: la chiameremo Forza Italia 2.0 perché il 2 mi ha sempre portato fortuna: Milano 2, P2, due minorenni, due gemelle De Vivo, 416-bis, 41-bis, Napolitano bis, due Letta. Ora con Enrico stiamo architettando un altro giochino di prestigio: bloccare l’aumento dell’Iva aumentando le accise sui carburanti. Cioè levare un’altra tassa che si nota di più sostituendola con una che si nota di meno. Tanto la gente abbocca ancora: li avete visti i sondaggi? L’altra notte, passeggiando nel parco con Dudù che mi teneva Alfano al guinzaglio, pensavo agli amici del Pd e mi dicevo: perché mai dovrei dar retta a quei polli dei falchi e far cadere il governo? Ma dove ne trovo un altro così? Alle elezioni, sette mesi fa, sono arrivato terzo su quattro (Monti svolgeva il ruolo che ha la Grecia in Europa per far arrivare l’Italia penultima) e mi son sentito perduto, anche perché mi avevano rottamato D’Alema e Veltroni e non sapevo più a che santo votarmi.
Fortuna che mi è rimasto Napolitano: ha fatto tutto lui, d’intesa con Gianni, cioè con Enrico. Mi han fatto scegliere il capo dello Stato, poi il capo del governo, poi il programma di governo, insomma tutto. Tant’è che una volta gli ho anche detto: ma non starete esagerando? Ma quelli niente: figurati, è un piacere, siamo qui apposta. I titoli delle mie aziende in Borsa vanno su che è una meraviglia: nessuno dei miei governi era riuscito a fare così bene. Se Letta fa qualcosa di buono, è merito mio. Se fa una cazzata, è colpa sua e del Pd. E io dovrei aprire la crisi? Ma siamo matti? Poi mi ritocca lavorare, sottraendo tempo prezioso ai cazzi miei. Una cosa però non capisco: perché Napolitano e il Pd, con tutto quel che ho fatto per loro, non mi hanno ancora inventato un salvacondotto.
Non che me ne freghi poi tanto, di decadere da parlamentare: tanto in Senato non ci ho mai messo piede, e neppure prima alla Camera, e i miei li comando: basta un fischio, lo stesso che uso per Dudù, e quelli corrono. Che io fischi da Arcore, da villa Certosa, da Palazzo Grazioli o da Palazzo Madama, manco se ne accorgono. Ma è una questione di principio. Ma come: me le avete date tutte vinte per vent’anni, avete persino salvato dalla galera Previti e Dell’Utri, e ora che tocca a me fate gli schizzinosi? Non si fa così. Capisco che Grillo vi fa a pezzi: ma quando vi servivo per bloccare Prodi e Rodotà, per rieleggere Napolitano e per fare le larghe intese, da me ci siete venuti eccome: eppure avevo già addosso le condanne Mediaset e Mondadori in appello. Ci voleva tanto a prevedere che prima o poi arrivava la Cassazione? Nossignori, non si fa così con i vecchi amici.
Anche quel Renzi, che pure prometteva bene, s’è guastato col tempo. Gli avevo scatenato Briatore, ma non è bastato. Dopo quell’altro che mi voleva smacchiare, adesso arriva lui e dice che mi vuole asfaltare. Spiacente, giovanotto, ma arriva tardi: sono già asfaltato di mio.